Derek ChiuNon si tratta di una sorpresa assoluta, ma nel panorama hongkonghese il nome di Derek Chiu merita di essere approfondito. I suoi inizi come regista non fanno gridare al miracolo, facilmente si sarebbe potuto credere di essere di fronte ad un anonimo esecutore. Eppure, dopo due commedie piacevoli ma ordinarie, già nella sua terza firma, Oh! My Three Guys, storia di ordinaria omosessualità con Lau Ching-wan, Dayo Wong e Eric Kot amici per la pelle, si intravvede un tocco personale. Due anni di silenzio prima della svolta definitiva: con The Log Chiu contribuisce alla sua maniera alla causa del noir. E' un lavoro molto solido, prodotto dalla Milkyway di Johnnie To, basato su un soggetto semplice - una squadra di polizia che si sfalda quando un esperto agente dà fuori di matto e si barrica minacciando gli ostaggi innocenti - e girato con pochi soldi. Lo stile di Chiu è visivamente dettagliato e sfrutta ogni particolare delle scenografie nelle inquadrature. Apparentemente impersonale, la mano del regista rivela invece una grande sensibilità nel disegnare luoghi e persone, nell'approcciarsi con partecipazione alle psicologie dei caratteri - non a caso è una delle rare volte in cui l'atletico Michael Wong riesce a recitare per davvero - e nel delinearne l'evoluzione graduale.
Il canovaccio è sempre lo stesso in tutti i film, Chiu preferisce partire da una situazione di calma apparente, salvo poi scatenare in breve tempo l'inferno in terra. Sia nel poliziesco che nella commedia (dove la scossa riguarda i sentimenti o le situazioni farsesche), l'andamento viene seguito con un certo rigore. In Final Justice il protagonista è ancora Lau Ching-wan, prete cattolico accusato di stupro: a metà tra dramma e film d'azione, la pellicola mostra un montaggio parallelo incalzante ed è incentrata su un tema difficile. Alla religione Chiu tornerà con Love Au Zen, il cui soggetto è tratto da un'opera teatrale scritta dallo sceneggiatore Raymond To. Film coraggioso, tutto basato sui contrasti tra i quattro personaggi (in fuga dallo stress cittadino in un tempio buddhista) per quanto non del tutto riuscito, senza nomi di grande risalto a garantirne i riscontri al botteghino. Nuoce l'alternarsi di momenti alti (la difficoltà della ricerca della propria spiritualità) e bassi (una comicità che fa capolino nei momenti meno opportuni).
Non è convenzionale come sembrerebbe il convincente mélo Sealed with a Kiss, love story tra un albergatore sordo e una cliente giovane e bella; film che riprende il personaggio colpito da handicap di Ah Fai, the Dumb. Quello di Chiu è un cinema all'insegna della ricerca, che trova il suo apice proprio quando abbandona gli intenti sociologici e si scatena nel grottesco. Comeuppance è un riuscito mix tra commedia e dramma poliziesco. Scritto ancora insieme a Raymond To, vede dipanarsi le vicende dei tre protagonisti, un giornalista, un fotografo e un poliziotto. Qualcuno ha avvelenato un boss della mala e tutti sono coinvolti. Nonostante un aspetto trasandato il film ha il colore della vita vissuta e riporta in auge lo stile veloce e incisivo dei noir di metà anni novanta.
Derek Chiu ha macinato una grande quantità di strada, percorrendo un sentiero non facile e non concedendosi soste inopportune. Punto di forza del suo operato è la capacità di valorizzare attori meno blasonati (o in crisi), di riflettere su temi assolutamente non banali, di giocare con la città e con gli spazi a disposizione, soprattutto facendosi aiutare dalla fotografia (in notturna), di privilegiare i dialoghi ai fatti, subordinati, come effetto, ad una causa spesso di natura verbale. Altri pregi del regista sono la pazienza, l'umiltà, la capacità di stare ai margini del sistema in attesa dell'occasione propizia. Spesso i suoi lavori arrivano a ciel sereno, sorprese gradite e cariche di promesse, dopo anni di silenzio e di preparazione. Dopo un film di transizione - la commedia vecchio stile Frugal Game -, anche un film poco considerato come l'ultimo Love Trilogy, che ripesca Anita Yuen, Ruby Lin e Francis Ng, colpisce, come i precedenti lavori, per freschezza, spontaneità e originalità. Non tanto per soggetto e sceneggiatura, quanto per il modo, pacato e completo, di mettere in scena e raccontare storie semplici ma efficaci.

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