Herman YauSarebbe difficile immaginare la presenza di Herman Yau in un contesto produttivo differente da quello vigente ad Hong Kong. Perché stiamo parlando di un uomo con il cinema nel sangue e al tempo stesso di un mestierante che non chiede troppo ai suoi prodotti. Yau non ha mai fatto mistero della sua commercialità, né del fatto di aver spesso e volentieri spinto sul pedale dell'eccesso fine a se stesso pur di ottenere un risultato migliore ai botteghini. Eppure, al fianco di opere che ammiccano in maniera spudorata al voyeur in cerca di emozioni nuove, c'è un'altra produzione politicamente e socialmente consapevole che la funzione del cinema può essere non solo intrattenimento.
Gli esordi non sono memorabili: divendosi tra regia e direzione della fotografia - e non disdegnando incursioni nei territori meno usuali delle colonne sonore, delle sceneggiature e della recitazione -, il regista piazza il colpo sensazionale nel 1993 con The Untold Story. Ambientato a Macao (ma in realtà girato interamente a Hong Kong) e basato su una storia vera, il film narra vita e opere di un serial killer che uccide e cucina i corpi delle proprie vittime per servirli, nel proprio ristorante, sotto forma di ripieno di carne nelle focacce (da cui il titolo alternativo, The Bunman, con cui il film è circolato all'estero). Quella che parte come una pellicola fine a se stessa, fatta di efferatezze gratuite e di umorismo rancido, sorretta solo dalla bravura dell'attore Anthony Wong, diventa presto un lucido studio sull'uomo e le sue pulsioni criminali. Dal momento in cui l'omicida è catturato e trasferito in carcere, l'incubo assume i toni neri della cronaca, e l'obiettivo inquadra vittima e carnefice mentre si scambiano continuamente il ruolo. I metodi brutali della polizia e la confessione senza remore del detenuto innescano un processo che non prevede simpatie o antipatie: l'apparenza inganna e non c'è niente di peggio di un giudizio partigiano. The Untold Story è uno dei film più lucidi del decennio, e al di là di censure e condanne, una pellicola che sviscera il problema alla radice, tanto che è stato definito in più di un'occasione il miglior film sui serial killer.
Sfruttando una fama non sempre positiva, che non gli ha però impedito di lavorare in produzioni mainstream come Twenty Something o Time and Tide, Yau calca la mano e comincia a realizzare opere meno sentite e, a voler essere duri, dozzinali. E' il caso di Ebola Syndrome - paradossalmente il suo film preferito tra quelli da lui diretti - e di Taxi Hunter ambedue con il solito Anthony Wong sadico oltre misura, dove il regista spreca il suo talento tra inutili spargimenti di sangue. Ma è anche il periodo in cui, saltando di palo in frasca, Yau produce numerosi cambi di genere e umore, passando dal noir di strada (di derivazione younganddangerousiana, lo spigliato War of the Under World) al thriller erotico morboso (All of a Sudden, Cat. IIb piuttosto spinto in cui spoglia Irene Wan), dalla commedia con star (Adventurous Treasure Island) all'action motoristico (Highway Man). Rimanendo in campo horror, nel quale ha conquistato una certa fama, Yau, spalleggiato dal fidato Nam Yin (sceneggiatore e produttore che si lega a lui dopo i trascorsi con il fratello Ringo Lam), inizia una serie, Troublesome Night, che guarda esplicitamente al pubblico giovane e che, grazie alla struttura a episodi e a una serie di volti esordienti subito baciati dalla fama, ottiene un successo notevole.
Tornato sulla breccia come regista affidabile, anche in virtù di una commedia agrodolce come Walk In, in genere poco considerata ma leggera e piacevole quanto basta, Herman riesce a realizzare alcuni progetti che gli stavano molto a cuore. In prima istanza benedice il debutto di Francis Ng dietro la macchina da presa: 9413 è un noir sottotono in grado di coniugare ambizioni autoriali e l'amore per una Hong Kong splendidamente ritratta. Subito dopo riporta in auge, con Tne Untold Story III, l'interesse per un tipo di cinema che indaga la miseria umana ai limiti del documentarismo. Grazie ad uno stile che matura in un crudo realismo, e che indulge sempre meno alla bassezza dell'effettaccio, Yau ottiene da Tsui Hark la regia di un progetto ambizioso come Master Q 2001, incrocio tra attori e animazione, e soprattutto presenta una pellicola politica e di protesta come From the Queen to the Chief Executive, dove il suo sguardo denuncia con fare militante l'oppressione, l'ingiustizia e lo scarso rispetto per le minoranze. Il tutto senza rinnegare l'exploitation delle origini, che trova forma compiuta in thriller a basso costo come The Masked Prosecutor.
Autore controverso, eccezione alla piattezza attuale in cui quasi nessuno ha più la voglia di rischiare e di rifiutare i compromessi, Yau stupisce tutti quando, dopo due discreti prodotti di genere (l'horror Nightmares in Precint 7 e il sottovalutato noir Killing End) girati in serie (stesso cast, stessi toni, stesse location), peraltro bene accolti dal pubblico, decide per l'ennesima volta di cambiare stile, dedicandosi ad un tipo di commedia intimista low budget agli antipodi rispetto alla sua produzione precedente. Happy Family, Gives Them a Chance, musical indipendente con Andy Hui, e Herbal Tea sono il preludio ad un ritorno in grande stile alle ambizioni da classifica, perfettamente palesate dall'anarchia verbale e fisica di Papa Loves You, con Tony Leung Ka-fai e la novella superstar Charlene Choi.

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