John WooDifficile parlare oggi di John Woo senza cadere nelle solite banalità: regista eclettico e acclamato dalla critica per la revisione attuata, nell'ambito della seconda New Wave, dei canoni dell'action movie hongkonghese, Woo è considerato unanimamente uno degli autori per eccellenza del cinema orientale, alla pari di Wong Kar-wai, pur essendo artefice di una poetica ben distinta. La carriera del regista è quanto mai variegata, divisa in tre tronconi non troppo netti ma alla larga identificabili. Dalla gavetta spesa al fianco di uno dei grandi maestri dei film gongfupian e wuxipian, Chang Cheh, deriva la prima produzione, quella che risente più che mai della tradizione classica. L'esordio, The Dragon Tamers, è molto travagliato, tanto che la pellicola, le cui riprese terminano nel 1973, gode di una distribuzione ufficiale solamente due anni dopo. Gli esordi dimostrano già le buone capacità di un autore che a dispetto della giovane età, cerca la perfezione in ogni aspetto tecnico del lavoro. L'ambizione di lavorare nella maniera migliore possibile lo spinge ad approfondire le sue conoscenze, seguendo tutte le fasi del processo di produzione, dalla sceneggiatura al montaggio. Il suo sguardo è quello del cineasta che vuole avere sotto controllo ogni cosa, in modo da poter riconoscere come propria l'opera realizzata. Sotto questo punto di vista è innegabile una visione autoriale di un uomo dotato di sensibilità e cultura straordinarie che caratterizza con il proprio tocco ogni pellicola cui metta mano. E' il caso questo anche delle produzioni più recenti (Peace Hotel di Wai Ka-fai, Somebody Up There Likes Me dell'allievo Patrick Leung), dove Woo, pur affidandosi a registi estranei, infonde la sua personalità senza essere d'altro canto eccessivamente invasivo.
Dopo pochi film, di cui uno, Princess Chang Ping, di notevole importanza quale testimonianza dell'esperienza dell'opera cinese, Woo opera una svolta che lo porta ad abbandonare il genere cappa e spada in favore della commedia. Il periodo ci lascia almeno un capolavoro, quel Last Hurray for Chivalry che in nuce contiene i prodromi dei futuri lavori. Fino al 1986, anno chiave nella sua vita e nella sua carriera, i produttori affidano al regista progetti comici - meritano la menzione i divertenti Money Crazy, From Riches to Rags e Follow the Star -, convinti su questa linea dai buoni incassi delle pellicole girate da Woo e interpretate da una serie di attori - Ricky Lau, Richard Ng, Josephine Siao - molto cari al pubblico locale. La conoscenza dei tempi e del ritmo scatenato che portano una commedia - di chiara ispirazione michaelhuiana - ad essere farsa irresistibile fanno onore al cineasta, che è però insofferente dato che vorrebbe cimentarsi con qualcosa di diverso. La grazia cala dal cielo grazie a Tsui Hark, geniale uomo di cinema cui Hong Kong dovrebbe erigere un monumento: il produttore studia con Woo la possibilità di mettere in scena un poliziesco che rompa con il passato e mostri un'atmosfera nuova in cui lo spettatore medio potesse riconoscere la propria città. Una maggiore attenzione al contesto urbano e un romanticismo da melodramma caratterizzano A Better Tomorrow. Il successo, improvviso e inaspettato, lancia regista e attore protagonista (Chow Yun-fat, nonostante in origine la carriera da rilanciare fosse quella di Ti Lung) nell'olimpo dello star system, e impone un seguito maggiormente venato di ironia ma ancora più drammatico nell'esasperazione della violenza.
L'apice di questo stile, contrassegnato da un montaggio veloce (e che propone parallelamente diversi segmenti della storia) e dai temi della giusta vendetta che si conclude in un eroico bagno di sangue, è The Killer (ancora con Chow Yun-fat, ormai attore simbolo). Si tratta di un noir romanticamente duro, impregnato di umori colti (Melville, Cimino, Scorsese e Schrader) e della personalità di Woo (i riferimenti religiosi e l'eleganza stilistica), che proprio per questo motivo affascina più il pubblico occidentale di quello orientale. L'autore vive un momento di grande splendore creativo, e sforna pellicole di altissimo livello, estremizzando quel concetto di amicizia oltre la morte che già in The Killer era ben radicato: e con Bullet in the Head disegna una discesa nella violenza che lascia basiti per l'alternanza di cinismo e di epicità. La guerra è il pretesto per mettere in scena le pulsioni eroico-sentimentali (i tre amici protagonisti e le prove cui è sottoposto il loro legame) e i dubbi sulla futura madrepatria (il riferimento alla repressione post piazza Tienanmen); Woo costruisce un quartetto di personaggi - compreso il fascinoso killer Simon Yam - che sono credibili solo quando agiscono insieme. Convinto di aver dato tutto il possibile - non dimentichiamo: il movimentato Hard Boiled, croce e delizia fatto d'azione e muscoli ma intelligentissimo quando guarda al poliziotto infiltrato e alla sua caduta libera; la commedia sofisticata Once a Thief, sentito omaggio alla Hollywood dei tempi che furono - Woo abbandona il suo paese e si trasferisce negli Stati Uniti dove oggi è un regista affermato e stimato cui vengono affidati progetti dai budget miliardari. Abbandonato, non per sua volontà, Chow Yun Fat, Woo sceglie Nicholas Cage. Dopo un primo approccio a base di azione insensata e Van Damme, le cose migliorano, progressivamente, con Nome in codice: Broken Arrow, Face/Off (penalizzato da un finale eccessivamente lungo) e Mission: Impossible II. Con Windtalkers Woo affronta un progetto personale - un war movie a base di pellirossa - e si scontra con il pubblico americano, che al box office affossa il progetto. Ridimensionato, il regista prende spunto da un romanzo di Philip Dick e propone Paycheck, ma la reazione della platea non muta e il flop torna nuovamente ad essere argomento d'attualità. I due insuccessi, anche di critica, minano in pochi anni la credibilità di un'intera carriera: oggi Woo ha meno possibilità d'errore e un numero sempre più esiguo di produttori disposti a investire sul suo nome.

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