Il fulcro centrale dell'articolo è, come espresso inequivocabilmente dal titolo, il film di Wai Ka-fai Too Many Ways to Be No. 1, ma, prima di iniziare a parlarne, Alberto Pezzotta traccia in breve le linee evolutive della cinematografia di Hong Kong a partire dal lavoro fondamentale di King Hu e Chang Cheh, passando per i registi del kung fu comico (Liu Chia Liang, Sammo Hung e Jackie Chan), per arrivare a Wong Kar-wai. Poche frasi per tratteggiare sapientemente 25 anni di cinema hongkonghese, attraverso l'evoluzione delle tecniche di montaggio usate dai registi succitati; ovviamente le tecniche vengono analizzate sempre in rapporto alla produzione di senso, che i registi, attraverso i loro film, finiscono col produrre. Ancora un breve passaggio per delineare la situazione interlocutoria in cui Hong Kong è venuta a trovarsi dopo il ritorno sotto la giurisdizione cinese (pur godendo temporaneamente di uno statuto speciale) ed ecco che si passa a Too Many Ways to Be No. 1, film che rappresenta per Pezzotta la tabula rasa, che azzera tutto ciò che cinematograficamente è stato fatto finora a Hong Kong.
Il titolo del film ironizza su quelle pellicole hongkonghesi etichettate come film sui gangster e prende di mira, ridicolizzandoli in modo cinico, tutta una serie di stereotipi, che questo genere fino ad ora ha rispettato. La trama del film inoltre non è lineare, ma suddivisa in due blocchi distinti, che corrispondono ai due destini alternativi che aspettano il protagonista, hongkonghese, prima in Cina e poi a Taiwan. Ma ciò che rende davvero nuovo questo film è il linguaggio adottato da Wai Ka-fai: il piano-sequenza unito al grandangolo; la loro combinazione dà luogo a un film unico e probabilmente irripetibile, che sembra ripensare i modi abituali di percezione della realtà, organizzando un sistema espressivo che non rimane fine a se stesso, [...] ma è ricco emotivamente e denso di significati. Ultime considerazioni sui registi di Hong Kong, i quali, molto velocemente e in tempo reale, hanno sempre saputo modificare o reinventare gli strumenti necessari alla messa in scena, ferma restando l'adesione a un cinema di genere, cosa che purtroppo gli americani hanno ormai disimparato, non essendo più in grado di usare il genere, come strumento per afferrare la realtà.
Grande merito va a Pezzotta per essere riuscito a tratteggiare sinteticamente, nell'esiguo spazio a disposizione, la maggior parte delle riflessioni contenute nel libro che di lì a poco pubblicherà (Tutto il cinema di Hong Kong), la cui la struttura e il dipanarsi delle argomentazioni hanno numerosi punti di contatto con l'articolo in oggetto.

Numero: 488
Periodo: 1998
Autori: Alberto Pezzotta
Lingua: Italiano
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