Cultori del proibito: cinque registi che a dispetto del curriculum meritano in qualche modo attenzione. Hanno personalità, capacità di adeguarsi ai budget e di lavorare in economia. Ma hanno soprattutto personalità e autoironia, oltre ad essere validi artigiani in possesso di tutti i requisiti tecnici necessari per girare un lungometraggio. Non saranno mai ricordati come autori, e neanche come maestri del kitsch dei serie zeta, eppure hanno provato a tracciare un proprio percorso in quel folle labirinto di sangue e passioni che è il Cat. III. Ed è per questo motivo che le loro filmografie consentono un'analisi incrociata e parallela da contestualizzarsi all'interno di un sottogenere infernale grazie al quale hanno saputo, a modo loro, intrattenere una buona fetta di pubblico.

Aman Chang | A lungo aiuto regista di Wong Jing, frequenta i peggiori set di Hong Kong apprendendo le basi del mestiere. Al fianco di Bosco Lam (The Underground Banker, Chinese Torture Chamber Story e Spike Drink Gang) raffina le armi a disposizione e impara come far rigar dritti cast e troupe. Debutta nel 1998, con una commediola più innocua di quanto il titolo, inneggiante al viagra, vorrebbe far credere. Regista prolifico dotato di grande ironia prende a spunto il pecoreccio all'italiana e lo rende cinese: in Mr. Wai-GoMr. Wai-Go, del 1998, sfrutta Angie Cheung come controparte cinese di Edwige Fenech e suggerisce un parallelo tra Eric Tsang e Alvaro Vitali. Nel successivo Tricky King, dello stesso anno, prova a fare il verso a Stephen Chiau ibridandolo con Sergio Martino, ma la materia a sua disposizione (Nat Cheung) è talmente grezza da non ammettere compromessi. Fa di necessità virtù e senza avere un copione in mano convince Francis Ng a prendersi una pausa sabbatica dal cinema che conta: Raped by an Angel 2: The Uniform Fan (ancora 1998) è un divertente excursus parodistico dove il sesso e gli stupri sono il contorno di una satira tanto acida quanto acuta della contemporaneità sociale. Subito dopo si sporca le mani con il gossip più efferato, prendendo di mira l'intero star system, fotografato impietosamente in Love and Sex in the Eastern Hollywood, nel quale ipotizza un mondo di frustrati, falliti, lesbiche e erotomani. Non pago di essersi inimicato gran parte dei colleghi, ma conscio che il mentore Wong Jing gli copre le spalle, Chang affoga nel super lavoro, tra un thriller del tipo «stupro & vendetta» (il terzo patinato episodio di Raped by an Angel) e un demenziale romantico vagamente venato di horror (Twilight Garden). In Body Weapon (1999), che rifà il verso a Naked Killer, si affida per l'ennesima volta alla sua musa Angie Cheung e sfodera il proprio potenziale camp per shockare il pubblico: peccato che le sequenze calde non siano all'altezza del battage pubblicitario, limitandosi all'attilato costume della procace protagonista. L'esatto contrario di quanto accade in Sex and Zen III, dove le starlette taiwanese ingaggiate si sfidano a colpi di tecniche sessuali. Rispetto alla media dell'erotico in costume è molto più spinto, ma l'assenza di nomi che contino in cartellone lo fa confondere con tanti titoli simili, tutti stereotipati verso il basso dalla mercificazione della carne venduta un tanto al chilo alla platea. Di qui in avanti si assiste ad una triste normalizzazione dello stile e dei temi prescelti, con conseguente calo sia qualitativo che, a ruota, quantitativo. Passa all'azione di serie B ma non lascia mai il segno; prova a riciclarsi nella commedia d'azione ma tutto quel che gli riesce é far partecipare, controvoglia, cinque starlette emergenti ad un improvvisato e innocuo concorso di «miss maglietta bagnata» (Cop Shop Babes). Addirittura riesce ad avere sottomano un format di sicuro successo (Conman 2002) e a non concretizzarlo al box office. Più di tanti colleghi soffre la crisi post-handover e il timore della censura cinese. Con il calare del Cat. III e del divieto ai minori non ha letteralmente più ragione d'esistere, e lentamente rientra nei ranghi della mediocrità artigianale, tappa iniziale prima dell'anonimato.

Why Wild GirlsAndy Chin | Perennemente in bilico tra ambizioni e precariato è regista vivace ma troppo discontinuo. Parte con la benedizione del cinema che conta e al debutto mette insieme star con un certo nome (Derek Yee, Joey Wong, Carol Cheng, Sandy Lam, Mark Cheng) per una commedia un po' prevedibile (Gift from Heaven, 1989). Si ripete due anni dopo con To Catch a Thief (1991), sul set del quale familiarizza con un marpione del calibro di Tony Leung Hung-wah, co-autore della sceneggiatura; quindi torna sui suoi passi e si ricorda di essere stato direttore artistico nei primi anni '80 di uno slasher brutale come Crazy Blood. Gigolo and Whore II (1992) non è titolo di cui andare fieri, eppure è uno dei suoi maggiori incassi. Probabilmente gran parte del merito va alle bollenti scene di nudo di Veronica Yip, in piscina con Simon Yam, giovane e ardente: inevitabile il divieto ai minori. Due commedie con Sandra Ng non ne smorzano l'entusiasmo: Call Girl '92 , uscito pochi mesi dopo il simile Girls without Tomorrow, porta sullo schermo le vicende di un gruppo di prostitute, senza intenzioni agiografiche. Il linguaggio schietto e il quartetto di protagonista - Veronica Yip, Sharla Cheung Man, Cecilia Yip e Carrie Ng - garantiscono il giusto contorno rosa e la visibilità sperata. Sfrutta Ng Suet-man, assurta ad un breve lampo di gloria come potenziale diva del Cat. III, in Female Internment Camp, dove deve però tirare indietro la mano per non perdere l'appoggio dei coproduttori cinesi. Il thriller stempera le potenzialità exploitation nel drammone populista dove anche i criminali hanno un cuore da melodramma che permette loro di espletare una precisa funzione sociale. Crazy Women (1994) è una farsaccia irriverente, e apre la strada ai turbamenti sentimentali di Why Wild Girls, dove l'ex lolita Rachel Lee condivide con tre amiche desideri e aspirazioni, soprattutto sessuali. Se come regista perde carne e sostanza strada facendo, è come produttore che recupera la grinta della gavetta come assistente regista: Emotional Girl - Doubt of Distress, diretto nel 1993 da Chang Wing-chiu, è un softcore per adulti dove la solita Ng Suet-man, Cecilia Yiu e la quasi pornostar July Lee si spogliano e immolano il corpo per una causa (cinematografica) che pare già persa in partenza, vista l'esiguità del copione. Tra un wuxia e una commedia scompare e riappare dall'elenco dei registi dell'anno, per riciclarsi definitivamente come produttore prima di passare al piccolo schermo, dove può riposare tranquillo come executive di lusso.

Chin Man Kei | Tuttofare, supervisore della sceneggiatura, aiuto regista, parte con il piede sbagliato sul set di Ghostly Vixen, dove The Fruit Is Swellingscopre il lato oscuro della commedia horror sopra le righe. Come assistente, durante le riprese di Temptation Summary II, si sporca con l'erotismo più ciarlatano, prima di passare in serie A come braccio destro di Andrew Lau, che gli produce il primo tentativo da regista. Con 1941 Hong Kong on Fire, del 1994, inizia a tingere di rosso un dramma bellico, inserendo ammiccamenti e stupri senza troppi pudori. The Eternal Evil of Asia (1995) è un curioso ibrido di sesso e gore, con magie, superstizioni e folklore che si susseguono sul grande schermo senza soluzione di continuità, tra le risate del pubblico che apprezza le trovate irriverenti, come la testa fallica di Tsui Kam-kong o l'amplesso volante urlato a squarciagola poco prima dell'epilogo. Growing Up (1996) è l'occasione di svestire i protagonisti di Young and Dangerous del mentore Lau, compresa la giovanissima Shu Qi. Predilige i toni rozzi e nonostante la facciata patinata le sceneggiature non sono da meno, sboccate e grossolane. La consacrazione economica di Sex & Zen II (1996) lo riunisce sul set con Shu Qi, che qui oltre che nudissima è anche dotata di una crudele duplice personalità transgender. Oltraggia il genere erotico con discreta ironia per sguazzare nei bassifondi del proibito con senso del mestiere: si ripete, non accreditato, come regista ombra di The Fruit Is Swelling (1997), ufficialmente attribuito al produttore Lee Siu-kei. Qui le sequenze bollenti sono decisamente sopra la media del divieto ai minori, così come gli argomenti trattati: adulterio, pedofilia, incesto. Dopo un paio di commedie non andate troppo male al box office pare ci sia la possibilità di svoltare, e invece torna a bazzicare il sottoprodotto di pessima imitazione: The Fruit Is Ripe (1998) è un (in)degno proseguimento della saga iniziata da Loletta Lee con Crazy Love, con una nuova divetta taiwanese, Jane Fong, da buttare in pasto al pubblico. Meglio, paradossalmente, un tentativo disperato di tenere in vita il cadavere del Cat. III, con Naked Poison (2000), che ha il merito di scoprire le generose grazie di Sophie Ngan, nuova emula di Amy Yip. Dopo, il nulla, o quasi, con thriller, horror e filmetti d'azione sottopagati. Chin Man Kei, che nel frattempo ha adottato alla bisogna un doppio nome inglese, Cash o Larry, rimane oggi un mestierante capace di rovistare nella spazzatura dello star system, senza arte né parte, eppure non incapace tecnicamente né purtroppo dotato di sufficiente personalità per farsi ricordare.

Lam Yee Hung | Regista dai mille pseudonimi (Lin I-hsiung,  Lam Yi-hung,  Lin Yi-xiong), arriva giovane al cinema: già negli anni '70 si impone come schlockmeister. Maids-in-Waiting (1975), Devil Strikes (1977) e Spiteful Women (1978) non sono prodotti edulcorati, seppure non ancora particolarmente erotici o scorretti. Passa presto al poliziesco, plagiando i capolavori della New Wave senza la stessa classe, quindi dieci anni di riposo video-televisivo. Durante l'esilio mette da parte le poche, residue ambizioni e torna nel 1991 sull'onda del Erotic Ghost Story - Perfect Matchsuccesso di Sex & Zen, con filmetti fanta-erotici senza budget né pretese. Liu Jai Home for the Intimate Ghosts (1991) ripropone stancamente gli stereotipi del prototipo di Michael Mak, con fantasmi e concubine che si innamorano solo come scusa per scoprire tanti centimetri di pelle. Prolifico e capace di girare in stretta economia, Lam diventa uno specialista del softcore più spinto. Prostitute, Just Love, The Story of Lady Sue, Love Nest, tutti girati nel 1992, intervallati da uno scialbo poliziesco con Alex Fong, Killer Flower, sono sottoprodotti di imitazione, creati in fretta con l'ottica della catena di montaggio: stessi set, stessa troupe, stessi volti anonimi. Dal basso della sua situazione assolutamente artigianale Lam non può permettersi la scelta di una musa; e include nei suoi deliranti excursus a base di sesso e grottesco ciò che passa il convento, quelle attrici disposte a spogliarsi nella vana speranza di un attimo di celebrità, badando poco a cachet e portafogli. Se la politica al risparmio - vera e propria necessità - paga da un punto di vista economico, con i film che sì  incassano poco ma che quantomeno sono costati ancora meno, sul fronte qualitativo l'emergenza è evidente. Il mezzo successo di The Other Side of Dolls (1993), dove si affida alla verve sotto le lenzuola del veterane Charles Cho, non cambia lo stato delle cose. Il capitale entrato a sorpresa in cassa viene subito reinvestito in mille progetti paralleli, senza arte né parte: Forbidden Love, My Better Half, The Woman Behind sono poco riconoscibili e intercambiabili. Con O.C.T.B. - The Floating Body passa dal dramma erotico al Cat. III più violento, sfruttando un caso di cronaca nera per imitare Dr. Lamb e i suoi fratelli minori: non è una svolta ma il cambio di passo non giunge a sproposito. E' evidente, tuttavia, che il mercato sta andando in un'altra direzione, che costringe Lam a insistere sul fengyue in costume e a sfidare la censura. Erotic Ghost Story - Perfect Match, poverissimo, sfrutta il nome del popolare film con Amy Yip per speculare scendendo a patti con volgarità e nudi integrali esibiti a più non posso. Di storie o sceneggiature neanche l'ombra, purtroppo. La prossimità dell'handover spinge il regista a stringere le fila del discorso: Romance of the West Chamber (1997), Exodus from Afar (1998), ambientato in Thailandia, Severely Rape (1998), Loving Girl (1999) sono un'evidente corsa contro il tempo. Cosa rimane, dopo tanto girovagare per set sempre più scalcagnati? La professionalità e il coraggio, per aver saputo mettere insieme una filmografia composita con così poco a disposizione; la forza d'animo, anche nei momenti più bui; un'idea fissa in testa: il sesso come liberazione carnale dai tabù. Il ritorno nel nuovo millennio con l'ennesimo titolo a luci rosse, Home for Erotic Ghosts II, testimonia la testardaggine di un veterano a suo modo inarrestabile.

Ivan Lai | E' un promettente aiuto regista nei primi anni '80, al fianco di Dennis Yu e Kirk Wong. Quando passa in prima persona a dirigere, dopo una lunga ed esaustiva gavetta che prevede anche la produzione e la bassa manovalanza, Ivan Lai sceglie il genere più in voga, il poliziesco al femminile, con Angel. E' il 1987, il primo bollino Cat. III non è ancora stato emesso e le possibilità di scelta per un giovane regista sono tante. La strada che porta al peccato è dietro l'angolo: al terzo, «difficile» film Lai scende a patti con la coscienza e si butta nel torbido: The Blue Jeans Monster (1991) è divertente e irriverente. Ibrido come pochi altri gioca tra azione, fantasmi, horror e commedia, con Shing Fui On mattatore e tante scene assurde a base di sesso, compresa un'esplosione involontaria del seno di Amy Yip vestita da coniglietta. Erotic Ghost Story III sancisce la definitiva presa di posizione in favore del divieto ai minori. Dei tre episodi è il più osé, grazie alla generosità di Pauline Chan e Rena Otomo. Anche in questa circostanza i momenti surreli e comici spettano a Shing Fui On, monaco che si rimpicciolisce per entrare nella olezzante caverna femminile di una strega e sconfiggerla dall'interno. Armato di pochi scrupoli e di un un gusto sarcastico amorale Lai fa anche di peggio con Daughter of Darkness, del 1993, con un seguito l'anno seguente, thriller dove serial killer e poliziotti sporcaccioni  si inseguono in un perverso gioco al massacro. E' famosa la scena del detective interpretato da Anthony The ImpWong che sul luogo del delitto palpa il seno di uno dei cadaveri e commenta ad alta voce la sua approvazione mettendo in imbarazzo la sorella della vittima. A Fake Pretty Woman è un trascurabile tentativo di incassare facendo il verso a Julia Roberts e Veronica Yip, rispettivamente protagoniste dell'originale americano e dell'omonimo hongkonghese. Con The Imp (1996), anch'esso dal titolo ingannevole, dimostra di prediligere le atmosfere dark del thriller ai confini dell'horror, ambientando in Thailandia, luogo di oscure superstizioni, una tetra vicenda dove morti cruente, sesso e ambiguità sono all'ordine del giorno. The Peeping Tom è uno dei colpi di coda del genere rape n' revenge, con un maniaco che amputa le gambe delle sue prede: ad una sensuale poliziotta il compito di braccarlo. God.com (1998), pallida imitazione di Il silenzio degli innocenti, segna il rientro sul terreno della normalità mainstream, seppure a basso budget. Ha il merito di scoprire e lanciare Grace Lam, futura diva del softcore straight-to-video con My Horny Girlfriend e Crime of a Beast II. Finito nella prigione della B&S Film Distribution Company di Takkie Yeung sforna cinque film in pochi mesi, ma il mordente e l'ironia del passato sembrano persi per strada. Dopo il flop di Boxer's Story (2004), dramma di arti marziali coreografato da Chin Kar-lok con Yuen Biao primo attore, scompare nell'oblìo. Ma, ne siamo sicuri, prima o poi potrebbe tornare dal nulla a graffiare come in passato sapeva fare.

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