The Bodyguard

Ex guardia del corpo d'élite, appartenente al CSB (Central Security Bureau), Ding è oggi un corpulento pensionato affetto da Alzheimer, ritiratosi nella tranquillità di Suizhen, una cittadina cinese vicina al confine con la Russia. Tutto ciò che Ding ricorda è di aver smarrito la propria nipote e, per questo, di non essere mai stato perdonato dalla figlia. A lui si sono affezionate la signora Park e la piccola Cherry, figlia di Li, un giocatore d'azzardo perennemente indebitato. Quando questi si caccia in un grosso guaio con la mafia russa, Ding dovrà fare nuovamente ricorso alla sua micidiale tecnica di autodifesa.

A dispetto delle elevate aspettative, alimentate da un marketing ingannevole, il ritorno di Sammo Hung dietro la macchina da presa a vent'anni di distanza dalla co-regia di Once upon a Time in China and America è un mesto disastro produttivo. Lo sguardo fisso con gli occhi sbarrati, che Hung mantiene per tutto il film, vorrebbe trasmettere lo smarrimento di una persona privata dei propri ricordi, ma sembra più testimoniare l'incredulità di un antico maestro di fronte al nadir della propria carriera.

Non una sola sequenza di The Bodyguard si eleva al di sopra di uno standard di assoluta mediocrità. E se, considerata la natura di un film simile, si può anche sorvolare sulla sciatteria delle sequenze prive di azione - con il filo spinato dai gancetti removibili al confine tra Russia e Cina siamo in pieno trash involontario - sui segmenti action si è meno tolleranti: quantitativamente scarse le scene "marziali", e in generale indegne della fama di Hung. I primi piani nascondono il gesto anziché esaltarlo, i ralenti abbondano, così come un montaggio che tende a sfumare l'inquadratura, una sorta di tecnica step-framing vecchia di secoli per estetica ed efficacia. Un esito che stupisce, perché nonostante fosse lontano dalla regia, Hung ha continuato a fornire il suo prezioso contributo come coreografo, regalando al cinema di arti marziali contemporaneo i duelli di Ip Man 1 e 2 o di Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma.

The Bodyguard 2

Il contrasto di violenza efferata - tendini recisi, ossa rotte con dettaglio in computer graphics, massacri brutali all'arma bianca - e tenerezza melensa - disegnini di bambina del nonno smemorato, il gelato, le gite di pesca - è profondo e molto vicino alla tradizione hongkonghese. Quasi un marchio di fabbrica se si pensa a Pedicab Driver, uno dei risultati più lusinghieri dello Hung regista. Ma di fronte al disarmante vuoto contenutistico e formale, questo contrasto resta solo un artificioso accostamento di sensazioni, privo di una guida e di un senso. The Bodyguard riesce così a non funzionare sotto alcun aspetto: direzione degli attori, messa in scena action, ritmo e coinvolgimento.

Solo i fan più disperati, disposti a tutto pur di vedere l'ingombrante figura di Sammo aggirarsi sullo schermo o di riconoscere varie celebrità del cinema di Hong Kong, potrebbero trarne motivo d'interesse. Ma parliamo di una nicchia di nostalgici, la sola fetta di pubblico disposta a sorvolare sulle enormi manchevolezze di un prodotto assemblato a forza, senza alcuna reale esigenza di esistere. E con l'ulteriore aggravante di un evidente imprimatur governativo, palesato dalle gesta impeccabili di polizia ed esercito regolare cinese.

 

Hong Kong/Cina, 2016
Regia: Sammo Hung.
Soggetto/Sceneggiatura: Jiang Jun.
Action director: Sammo Hung.
Cast: Sammo Hung, Jacqueline Chan, Andy Lau, Zhu Yu-chen, Yuen Biao.


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