Per contenuti, spirito e stereotipi, oltre che per il titolo, il film di Christopher Sun si rifà al capostipite di un brand di successo e di un'intera ondata di film genere Categoria III (più che un genere, un insieme disordinato di pellicole hongkonghesi vietate ai minori, mai porno ma solitamente ricche di erotismo e/o violenza esplicita), il Sex and Zen originale di Michael Mak. Sex and Zen 3DUscito nel 1991, lo si ricorda come poco più che una macchiettistica pochade, in cui di nudità se ne vede ben poca e il tono è quello scanzonato della goliardia da bar: superdotati e ipodotati, trapianti di peni equini, dame perennemente insoddisfatte finché non si presenta il nerboruto manovale del caso (la memorabile sequenza del bagno nella tinozza di Tsui Kam-kong e della maggiorata Amy Yip). Ingredienti e confezione dozzinale, ma sufficienti per un successo senza precedenti, che darà vita a un elenco sterminato di sequel, cloni e variazioni sul tema tipico del delirio produttivo da Hong Kong coloniale, ossia pre-1997. In particolare sul fronte dell'erotico in costume, rigoglioso sottogenere che ha generato strani miscugli tra il piccante Sex and Zen e le atmosfere del capolavoro di Ching Siu-tung – romantico e sensuale, ma non esplicitamente erotico - Storia di fantasmi cinesi: i vari Chinese Erotic Ghost Story e sequel annessi, Chinese Torture Chamber Story, Ancient Chinese Whorehouse o Slave of the Sword spesso nascondono meno di quanto prometta il titolo allusivo, ma restano capisaldi di un'era che non tornerà più.

Di Sex and Zen non mancano i sequel a filiazione diretta, escursioni exploitation di dubbio gusto: il secondo episodio, affidato a Chin Man-kei, in cui il trapianto di pene non si serve del regno animale, ma si traduce in un membro meccanico degno di Tetsuo, si avvale della presenza magnetica di Loletta Lee e di una giovanissima Shu Qi nei panni di Mirage Woman, sorta di strega-mantide a caccia di un prezioso manoscritto. Tanta comicità leggera per l'episodio forse più godibile della trilogia, mentre Sex and Zen III di Aman Chang non fa che rimestare i consueti elementi, calcando la mano su scurrilità e scabrosità. Un mercato, quello di allora, sull'orlo del collasso per eccesso d'offerta che, oggi - dopo essere nel frattempo abbondantemente collassato - ripropone in uno scenario completamente nuovo una formula quasi rozza nella sua semplicità; e vince nuovamente, come se in venti anni esatti poco o nulla fosse cambiato nei gusti del pubblico. Riprendendo vari elementi della trilogia originaria – dal primo la trama principale e la scena della tinozza, dal secondo lo sciamano ermafrodita con aspetto di donna bellissima ma doti sessuali da ultradotato, dal terzo l'elemento sadomasochistico - il Sex and Zen 3D: Extreme Ecstasy indulge non poco in sadismo e gusto scabroso per la tortura, con una strizzata d'occhio più a registi famigerati come Billy Tang e Bosco Lam che al soft-core di Michael Mak. Tutto funzionale alla perpendicolarità schermo-spettatore dell'effetto 3D, esaltato sì dai seni prorompenti o da un pene asinino scagliato verso il pubblico, ma ancor più a suo agio in scene gore, che comportano un altro genere di penetrazione (o di pene-trazione, qui altrettanto sfruttata). Lo spirito è quello del revival di un genere che non esiste più, quel Categoria III che gettava il sasso ma tirava indietro la mano, esempio di una breve stagione felice del cinema exploitation come da noi, per certi versi, la commedia scollacciata decamerotica, benché adattato alle nuove esigenze in termini di look. A farla da padrone sono ancora le pornostar nipponiche, più disinibite delle colleghe cinesi, come da tradizione. L’epopea del Categoria III è destinata a tornare, fomentata dal desiderio di proibito del pubblico mainlander? Difficile dirlo, ma, conoscendo i meccanismi produttivi cinesi, meglio prepararsi a un’ondata incontrollabile di pruriginose tridimensionalità.

Per un approfondimento sui precedenti titoli della serie Sex and Zen e sul cinema Categoria III si rimanda allo speciale del 2008 Sex and Zen.

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