A Moment of Romance IIUna possibile soluzione per realizzare un sequel senza scontentare gli estimatori del prototipo è cambiare il meno possibile. Così deve aver pensato Benny Chan, baciato dalla fortuna con il primo A Moment of Romance, successo a sorpresa e mattatore ai botteghini: merito suo, oltre che del produttore-e-mecenate Johnnie To. Invece di rielaborare la materia, il regista preferisce riproporne le medesime situazioni, variando appena contesto e struttura formale. Uguale la storia, già di per sé non particolarmente originale, meno esasperata nei toni noir e più insistita negli accenti melodrammatici. Remake piuttosto che seguito, A Moment of Romance II soddisfa tanto quanto il prototipo lo spettatore che attende gli apici emotivi con i kleenex a portata di mano e lascia praticamente indifferente chi si aspetta un poliziesco vero e proprio.
Ovviamente inamovibile Wu Chien-lien (poco rispettata da truccatore e costumista), pedina alla base della reiterazione, che anzi guadagna in minutaggio e in movimenti. Stavolta non è più una semplice cenerentola viziata da istruire sui pericoli della vita reale, ma un'immigrata clandestina che per salvare il fratello è disposta a tutto: prima ferisce un poliziotto, poi, rassegnata all'idea di dover passare un mese come impiegata molto speciale di un bordello di quart'ordine, approfitta degli eventi e fugge. Più problematica la scelta della star maschile: impegnato Andy Lau, il rimpiazzo ideale sembrerebbe Aaron Kwok, ancora in lotta per un posto al sole nel panorama cinematografico. Terzo polo, un detective tanto caricaturato quanto suonato, un fallito ai limiti del patetico, figura tragicomica che avrebbe trovato comodamente posto in un romanzo hardboiled americano dei tempi che furono. Ci sarebbero anche un amico del cuore dell'eroe, storpio ma di buon cuore, e una serie di cattivi - tra cui un Anthony Wong rasato e per quanto possibile misurato nella recitazione - che danno la caccia ai due novelli innamorati; ma il loro apporto è talmente marginale da non lasciare troppo il segno.
Colpisce piuttosto una resa realizzativa che non nasconde ambizioni superiori all'originale. Velleità artistiche, visto che una fotografia così ben curata non la si vedeva da tempo, e che piroette e coordinamento delle scene d'azione sono fin troppo spettacolari. Il tono è dato proprio da una luce che illumina, prefigurandone lo spleen esistenziale, i due tormentati protagonisti, costretti ad incontrarsi nel luogo e nel momento sbagliato. Il destino è già scritto e ogni sforzo per contrastare l'(onni)potenza del fato è inutile: si respira aria di lieto fine fino a che Benny Chan non si rammenta come aveva chiuso il precedente lavoro e con un colpo di bisturi lascia anche stavolta senza fiato. Se i dialoghi non fanno gridare al miracolo, colpisce piuttosto come l'ennesima trasposizione dell'eterna parabola di Romeo e Giulietta - Shakespeare tra le triadi - funzioni sempre a meraviglia. Amori impossibili, rivincite improbabili e animo populista rendono a suo modo indeledibile il ricordo di un mélo-noir (materialmente) già visto ma non per questo meno efficace nel suo incedere sicuro e maestoso.

Hong Kong, 1993
Regia: Benny Chan
Soggetto / Sceneggiatura: Susan Chan
Cast: Aaron Kwok, Wu Chien-lien, Roger Kwok, Kwan Hoi San, Anthony Wong

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