A Simple LifeIl tema della senilità è stato raramente affrontato nella storia del cinema. Riesce a farlo Ann Hui con grande delicatezza, raccontando una storia vera, con un realismo ribadito dalla foto sbiadita del personaggio cui il film si ispira, sui titoli di coda. Si tratta di Ah Tao, la donna che ha fatto per tanti anni la domestica della famiglia del produttore Roger Lee, che ha sentito la necessità di raccontare questa storia affidandola alla sensibilità di Ann Hui, e facendosi interpretare da Andy Lau. Questo ha portato anche a un aspetto discutibile, quello delle digressioni sul mondo del cinema, apparentemente inutili nell’economia narrativa del film, con i cameo di Tsui Hark e company. Un momento autoreferenziale? Un ammiccare ai fan del cinema di Hong Kong? Niente di tutto questo.

Si tratta semplicemente di conferire il grado più elevato di realismo alla vicenda, contestualizzandola nel suo ambiente naturale, in cui si è svolta, che è lo stesso mondo a cui appartengono tanto la regista che il produttore. E nelle chiacchierate tra i cineasti viene fornita una bella metafora sul cinema: «Il film è come un bambino, devi accudirlo se no è come un robot». E questo è detto proprio in un film incentrato sull’accudire, gli anziani non autosufficienti, come regrediti a uno stadio infantile. E le chiacchierate sul budget e sui problemi di finanziamento per realizzare un film spettacolare sulla battaglia dei Tre Regni potrebbero rimarcare una presa di distanza da parte della Hui, fautrice di un cinema diverso, intimista, ma al contempo anche la comune provenienza dallo stesso ambiente artistico, cui appartiene lo stesso Roger Lee, peraltro finanziatore dei due Red Cliff.

Ah Tao è qualcosa di più di una semplice domestica. È affettuosa nei confronti di Roger, gli suggerisce di non mangiare la lingua di bue perché contiene troppi grassi. Come la Hui, anche lei ha vissuto la sua “song of exile”: è nata nella Cina continentale e si è poi trasferita a Hong Kong. Dopo il suo ricovero i ruoli si invertono. Adesso è Roger che si prende cura di lei. Uno scambio come quello tra persone della divertente scena precedente, in cui Roger viene confuso per il tecnico che deve aggiustare il condizionatore. Un momento che riflette anche sul concetto di anonimato, su cui pure si gioca il film. Ah Tao diventa una paziente come tante, in un’algida casa del sorriso, popolata da degenti dall’aspetto sgraziato, tutt’altro che ‘cinegenici’, ancora una volta evidentemente persone vere.

La Hui filma il suo Cupo tramonto con grande leggerezza ed entra nella vita di Ah Tao in punta di piedi. Usa la stessa premura di Roger quando sistema i calzini di Ah Tao appena passata a miglior vita. Sa tenere tutto il film su un registro agrodolce, evitando, e lasciando fuori campo, i momenti di drammaticità, come i malori di Ah Tao e il suo trapasso. Sa inserire delicate punte di comicità come quelle del vecchietto-macchietta che chiede prestiti in continuazione o come la gag sullo scambio – ancora una volta – di dentiere. Sa raccontare situazioni sgradevoli come il cinismo dei parenti che trapela nelle discussioni su come condividere la retta. Sembrano quasi certi personaggi odiosi del cinema di Ozu, ma sono in effetti persone che fanno parte dell’esperienza di vita di tutti noi. E in comune con il maestro giapponese la Hui rivela la capacità di raccontare le emozioni della vita comune al cinema che non é fatto delle sole fette di torta di cui parlava Hitchcock.

 

Hong Kong, 2011
Regia: Ann Hui
Soggetto/Sceneggiatura:  Susan Chan, Roger Lee
Cast: Andy Lau, Deanie Ip, Qin Hailu, Wang Fuli

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