Born to Be KingSei film in soli cinque anni, più svariati spin-off e cloni, hanno spremuto troppo a fondo il pubblico. Prima mossa strategica: far tornare all'ovile quei personaggi - Chicken e Smartie - la cui eliminazione era dispiaciuta maggiormente ai fan. Seconda intuizione: internazionalizzare il plot ambientandolo, oltre che nella solita Causeway Bay, anche in Giappone e a Taiwan. Risultato: torna il pubblico anche se la sostanza qualitativa non migliora. Chicken e Chan Ho Nam sono tornati l'uno al fianco dell'altro. Devono affrontare uno spietato giapponese reo dello stupro della fresca sposa di Chicken. Sullo sfondo, la situazione travagliata della politica taiwanese all'alba delle elezioni: il ritorno di un ambizioso rampollo locale, Lui, da un'università americana, scatena infatti una lotta senza tregua per la successione alla poltrona di gran capo della mafia locale e del parlamento.
Nel dipingere la situazione politica taiwanese, illustrata di pari passo con la realtà (il film è stato girato a pochi giorni dalle elezioni presidenziali), Andrew Lau e Manfred Wong sono stati autori di una ricostruzione accurata. Al contrario la descrizione della criminalità nipponica, peraltro appena accennata, risulta scevra di particolari e retoricamente legata a luoghi comuni. Non è la prima volta che i ragazzi giovani e pericolosi si avvicinano al mondo della politica: il déjà vu non è casuale. Nel mucchio solo Shu Qi riesce a far maturare il proprio personaggio: la ragazza bella ma sciocca si fa completamente trascinare dalle mode giapponesi e diventa insistente nei confronti di un Chan Ho Nam reticente in fatto di matrimonio. Altro ritorno, di cui non si sentiva certo il bisogno, è quello di Roy Cheung che per la terza volta in tre pellicole - e con tre ruoli diversi: davvero un insulto -, torna ad essere il villain da sconfiggere. Cliché per cliché, ecco Sonny Chiba nel ruolo del samurai vecchio stampo. La delusione è tanta, se l'unica nota di colore è la curiosa pettinatura di Jordan Chan: Born to Be King è l'ennesimo fallimento che spreca l'impegno profuso e le grandi capacità tecniche degli artefici. Possibile che Lau e Wong non si rendano conto che quanto propongono su schermo è stato già visto almeno una decina di volte negli ultimi due anni? «Errare è umano, perseverare è diabolico».

Hong Kong, 2000
Regia: Andrew Lau
Soggetto / Sceneggiatura: Manfred Wong, Chau Ting
Cast: Ekin Cheng, Jordan Chan, Shu Qi, Gigi Lai, Sonny Chiba

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.