Herbal TeaPiccoli, confusi film crescono: un grazie a Herman Yau, che in tempi di produzioni d'alto profilo, di storie tarate sul pubblico internazionale, di fuga verso altri lidi finanziari, orchestra una produzione low-budget dal sapore ilare e stralunato, un tuffo nel passato, alle radici del cinema popolare hongkonghese. Una storia arrancante e sempliciotta, poche idee gettate nella mischia, eppure una tenuta strabiliante per simpatia e irriverenza, che torna a far respirare quell'anacronismo sempre più illusorio che si chiama Hong Kong.
May è la proprietaria di un piccolo spaccio di tè speziato, uno di quegli scarni locali in cui è possibile ordinare bevande per curare gli acciacchi quotidiani della vita moderna - stress, tosse, stanchezza. Orfana da quando aveva dodici anni, non si è mai allontanata dal suo quartiere, aiutando vicini ed amici fino a trascurare se stessa. Si prodiga in consigli alle vicine sulle cure tradizionali all'impotenza (durante le lezioni ginniche che impartisce di mattina), fa da baby-sitter a un ragazzino taciturno, si prende cura del vecchio zio Choi. E quando affitta una camera a Dan, stunt man sfortunato con sogni attoriali nel cassetto, non esita a consolarlo per la delusione amorosa con Linda (che per inciso May adora), attricetta emergente con guizzi da vamp. Negli anfratti di questo altruismo disinteressato, si nasconde però una solitudine sottaciuta: ma proprio quando Dan sembra volersi abbandonare all'attrazione per la sua scombinata padrona di casa, Linda si rifà viva...
Imperfetto nella sua tracimante (o trascinante) narrazione anarcoide, che lo porta a dividersi in mille rivoli senza necessariamente concluderli, Herbal Tea è una commedia sentimentale soffice, adorabile persino nei suoi evidenti difetti - tra la sceneggiatura che si prende le sue libertà negli aspetti secondari e la caparbietà non proprio idilliaca con cui si sviluppano certi personaggi (tipo l'aiutante di May, un Patrick Tang fuori controllo, donnaiolo impenitente con il sogno di diventare lottatore di sumo). Tolti questi inestetismi inessenziali, è una gioia vedere gli occhi sgranati di Candy Lo, diva incongrua e tatuata, mentre urla felice sul suo scooter, in giro per le strade notturne della città, così come assaporare ogni smorfia di Jordan Chan mentre guarda la sua collezione di film (in cui appare come controfigura). Oppure ridere della beffarda complicità con cui sono trattati due attempati volti comici quali Hui Siu-hung (l'agente factotum di Dan, in perenne bisogno di soldi) e Spencer Lam (l'infatuato e taciturno calligrafo che veglia su May). O, ancora, gustarsi i giochi e i rimandi di cui Herman Yau infarcisce il sottotesto metacinematografico - tra set di filmetti erotici e riprese fortuite per le strade, con il cammeo di un cattivissimo Simon Loui regista (imperdibile la battuta su come anche un attore di categoria III possa vincere dei premi, ovvio riferimento a Anthony Wong). Un concentrato di luoghi comuni, rimandi più o meno voluti (l'ennesimo sberleffo a Wong Kar-wai?), inebriante sicumera stradaiola e un amore per il cinema che passa anche per citazioni dal classico Buddha's Palm.
Non si tratta di nulla da dizionario del cinema (anche se Yau dimostra di saper giostrare i sensi, si veda come sfrutta il ralenti per l'allontanamento tra Linda e Dan), ma una boccata d'aria consolatoria. Negli interstizi del potere, il cinema cantonese vive ancora.

Hong Kong, 2004
Regia: Herman Yau
Soggetto / Sceneggiatura: Herman Yau, Simon Loui, Lee Ho Cheung
Cast: Candy Lo, Jordan Chan, Patrick Tang, Li Ka Yee, Spencer Lam

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