Long Arm of the Law IIDopo un'unica sensazionale prova dietro la macchina da presa (Long Arm of the Law, 1984), Johnny Mak decide che la scrivania del produttore è più consona alle sue esigenze cinematografiche. Affida al fratello Michael Mak Long Arm of the Law II, seguito ufficiale del suo capolavoro che, pur non condividendone sempre le profondità contenutistiche, non è per fortuna la sua degenerazione exploitation. La pellicola pone ancora una volta l'accento sul problema (di natura psicologica, dato per assunto il gap culturale che separa la colonia britannica dalla futura madrepatria; ma anche di natura fisica, visto il problema degli immigrati clandestini che finiscono nella bassa manovalanza criminale) di coesistenza tra hongkonghesi e cinesi. Senza giudizi sommari, gli autori si limitano ad un'amara constatazione sulla diversità di vedute - e la presa d'atto diventa politica quando entrano in scena gli organi pubblici, nella fattispecie la polizia di Hong Kong e i suoi machiavellici funzionari -, senza però parteggiare esplicitamente per una delle due posizioni.
Il film completa il giudizio crudo del primo episodio, dove i cinesi arrivavano a Hong Kong con scopi bellicosi: qui tre immigrati clandestini (tra i quali un ottimo Tsui Kam-kong) sono costretti a scegliere tra la prigione e un lavoro sporco, da infiltrati, senza nessuna protezione. Torna la Walled City, torna la gang Big Circle, ma è differente lo spirito. Sfruttati dai cosiddetti cugini civilizzati, i quattro protagonisti (ai tre uomini è affiancato un undercover esperto, interpretato da Alex Man) finiranno in un bagno di sangue, senza aver deciso in prima persona il proprio destino.
Giocando in anticipo sulle critiche di cinismo, per zittire chi aveva visto nel primo film un attacco troppo duro alla Cina, Michael Mak stempera i toni e elide per quanto possibile la parentesi politica. Lavora prima di tutto sui personaggi, alternando momenti (sinceramente toccanti) di cameratismo (operazione simile a quella di City on Fire: poliziotti e criminali finiscono per apprezzarsi) a strascichi commoventi dovuti al lutto. La dose è poi rincarata, non senza qualche sbandata nella retorica, da un meccanismo di causa / effetto scatenato da un comandante egoista che per la carriera è disposto a sacrificare tutti i suoi sottoposti.
Meno raffinato, ugualmente grottesco, Long Arm of the Law II non si fa pregare quando deve eccedere nella violenza. L'apertura, prima di tutto, autocitazionista, e gli omicidi, crudi ma non privi di humour nero: celebre è la sequenza di tortura, con la vittima incappucciata (e dentro il sacco ci sono dei topi: la scena sarà ripresa da Young and Dangerous: The Prequel). Divertente il primo impatto tra i tre sprovveduti e lo scafato cantonese, che si prende gioco di loro in un ristorante. Impregnato della freddezza della prima New Wave e conscio al tempo stesso della lezione di realismo melodrammatico della seconda ondata, il film prova a coniugare in una sola istanza Ringo Lam e Alex Cheung, con tutti i difetti che una simile operazione può comportare. Rimane forte l'impressione che Mak avrebbe potuto (e dovuto) insistere su uno sviluppo meno passionale e concentrarsi sui sottotesti socio-politici. Se i quattro enti-eroi sono simpaticamente umani, e i loro sentimenti condivisibili, i comprimari sono configurati quasi macchiettisticamente, caratterialmente appena tratteggiati, come satelliti che orbitano intorno a un pianeta senza influenzarlo.

Hong Kong, 1987
Regia: Michael Mak
Soggetto / Sceneggiatura: Phillip Chan
Cast: Tsui Kam-kong, Alex Man, Ben Lam, Yuen Yat Choh, Pauline Wong

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