Nightmares in Precint 7Girato subito dopo la fine delle riprese di Killing End, sfruttando lo stesso cast, le medesime location e la troupe di tecnici, Nightmares in Precint 7 è andato molto meglio del precedente: anche se i due milioni di dollari locali di incasso non possono far gridare al miracolo, il confronto con un budget ridicolo fa propendere l'ago della bilancia verso l'attivo, per la presumibile gioia del sempre più attivo produttore Ng Kin Hung e della sua Buddy Film Creative Workshop. Il contesto produttivo povero ha in altre circostanze esaltato le capacità creative di un artigiano come Herman Yau, mente vulcanica dove convivono talento e concretezza. Stavolta però il regista esagera in fase preliminare e si fa prendere la mano da mille possibilità. Ne deriva un film irrisolto, discontinuo, altalenante, incapace di trasmettere tensione emotiva. Per di più recitato davvero male da vecchie glorie di secondo piano.
Il problema sta a monte dell'operazione: Yau vorrebbe realizzare un thriller grandguignolesco con venature horror e qualche spruzzata d'azione, ma ogni dieci minuti sembra ripensarci e cambia di nuovo atteggiamento. Le prime sequenze sono mozzafiato, degne del miglior Kirk Wong, con una sparatoria in strada girata splendidamente (macchina in spalla e montaggio frenetico), poi si passa all'horror soprannaturale con il protagonista che vede i fantasmi, quindi entra in scena un maniaco che uccide le infermiere dopo averne, chissà perché, svaligiato la casa, infine si intravede una sorta di parentesi mélo tra il poliziotto e la sua protetta. Troppi cambi di ritmo e di stile, troppi colpi di scena: lo script fa acqua da tutte le parti, si dimentica di risolvere i punti in sospeso e non concede nemmeno un finale degno di questo nome.
La delusione è cocente, nonostante non manchino (tante) idee, alcune originali (il poliziotto aiutato dal fantasma, l'omicida fanatico delle uniformi, un bel finale pessimista, gli spettri che indicano ai tutori dell'ordine dove sono sepolti i loro corpi assassinati), altre meno (deprecabile il solito innocuo riferimento a Sadako di Ring). Per la prima parte la tensione e il ritmo narrativo riescono a reggere. Come al solito merito del grande intuito di Herman Yau, che sarà pure un artigiano discontinuo ma che tecnicamente non è il modesto mestierante che viene spesso dipinto. Le inquadrature veloci della prima parte, e il colpo di scena finale sono orchestrati molto bene. Peccato che la sceneggiatura, a cui lui pure collabora (e questa sì è una gran colpa) non sia degna del suo nome e non gli dia la dovuta libertà di improvvisare.

Hong Kong, 2001
Regia: Herman Yau
Soggetto / Sceneggiatura: Herman Yau, Simon Loui, Chung Shing Yuen
Cast: Andy Hui, Rachel Lee, Simon Loui, Cheung Tat-ming, Fennie Yuen

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