Once Upon a Time in ChinaOnce Upon a Time in China è un film intimamente politico. Non si può pensare di affrontare la visione tralasciando questo particolare, cercandovi una semplice sequenza di scene d'azione senza soluzione di continuità. Certo, quanto a spettacolarità Tsui Hark non deve prendere lezioni da nessuno, ma il progetto che sta dietro a questa produzione è ben più articolato e sentito. In una Cina crepuscolare e mai così vivida si contrappongono e combattono un turbinio di fazioni diverse e frastagliate, simbolo della confusione e della precarietà in cui vessava il paese sul finire del XIX secolo. Gli americani con la loro propaganda a favore dell'emigrazione, in realtà copertura del traffico di schiavi, gli inglesi con la loro sete di potere, il governo centrale, corrotto e allo sbando, completamente asservito ai dominatori stranieri, le triadi che spadroneggiano nei bassifondi, la chiesa, che ha l'unico scopo di fare proseliti. Nel mezzo di questo debordante caleidoscopio di visuali, svetta la figura tradizionale di Wong Fei-hung che, senza una investitura ufficiale, cerca di mantenere l'equilibrio delle parti all'ombra della sua scuola di arti marziali e per tramite della sua attività di medico-chirurgo. In un crescendo di tensione, la sua posizione precipiterà sempre più nel caos dei diversi modelli culturali. Mentre si reca a prendere il té con il governatore e i più alti rappresentanti inglesi per perorare una maggiore equità nei rapporti, nel locale fanno irruzione alcuni suoi studenti che si stanno battendo contro degli esponenti delle triadi. Da qui la sua posizione inizierà a vacillare e dovrà barcamenarsi per salvare la sua scuola e la Cina intera dalle forze centrifughe che rischiano di sconvolgerla.
Se il messaggio è ben chiaro e stranamente radicale, lo è altrettanto la via scelta per rappresentarlo. Viene privilegiato un linguaggio filmico classico e maestoso, ma al contempo capace di rivoluzionare un genere, quello delle arti marziali ad ambientazione storica, da tempo in debito di ossigeno. La commistione diviene il paradigma anche nella messa in scena, riuscendo nel difficile compito di coniugare la forza espressiva di un cinema da sempre interessato alle dinamiche del corpo con i linguaggi della velocità esplorati a partire degli anni '60 nei wuxiapian. Ne risulta un montaggio incalzante (opera del bravo Marco Mak, collaboratore indispensabile a Tsui Hark dai tempi di A Better Tomorrow III), movimenti di macchina fluidi e continui, carrelli che seguono le azioni nel loro svolgersi, ma soprattutto un'attenzione tutta particolare per la fisica e la leggerezza dei corpi in movimento, contrapposta alla pesantezza insita nella staticità. Un'esperienza che da estetica si fa etica nella particolare lucentezza delle emozioni che trascolora in un umanismo positivo e dolce (ne sia un esempio la scena in cui Rosamund Kwan accarezza l'ombra di Jet Li proiettata sulla parete senza che lui se ne renda conto), in cui i personaggi diventano portatori di valori basilari ma tanto più convincenti grazie alla sobrietà e all'equilibrio dimostrato in fase di scrittura. Un cinema asservito ad una spettacolarità compatta e formalmente smagliante, in grado di modernizzare un genere traendolo dalle paludi autoreferenziali nel quale era sprofondato. L'estasi provata durante la visione non è dunque una chimera evocata da pochi fan incalliti, bensì una sensazione che si sedimenta quanto più trascorre il tempo. Le coreografie - vi hanno contribuito martial arts director attivi da anni quali Yuen Shun-yi, Yuen Cheung Yan e Lau Kar Wing - aumentano quindi l'impatto e il coinvolgimento, regalando sequenze raramente viste su schermo; non è un caso che il film venga preso a modello anche a distanza di anni, si pensi ad esempio alla famosa scena finale nel magazzino, con quell'incredibile duello sulle scale in bilico, letteralmente cannibalizzata dall'americano D'Artagnan.

Hong Kong, 1991
Regia: Tsui Hark
Soggetto / Sceneggiatura: Tsui Hark, Yuen Gai Chi, Leung Yiu Ming, Elsa Tang
Cast: Jet Li, Yuen Biao, Rosamund Kwan, Jacky Cheung, Kent Cheng

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