Prison on FireFinito in prigione dopo aver colposamente causato la morte dell'aggressore del vecchio padre, un uomo si ritrova all'inferno, tra triadi e potenti capobanda che lo vogliono sottomettere. In suo soccorso verrà uno scafato detenuto, che proverà, soffrendo insieme a lui, a insegnargli come sopravvivere per il periodo di detenzione. Tra i due carcerati, uomini diversissimi, nonostante i continui sgarbi di un secondino violento, nasce un legame profondo, un'amicizia destinata a durare per sempre.
Guidato dalla mano sapiente di Ringo Lam, che firma senza mezzi termini il suo capolavoro, e soprattutto di suo fratello Nam Yim, sceneggiatore misteriosamente vicino agli ambienti criminali di cui si occupa, lo spettatore paga il biglietto per un viaggio di sola andata all'ultimo avamposto della scala sociale.

Il carcere hongkonghese non è peggiore di tanti altri visti sul grande schermo, da Codice penale a Fuga da Alcatraz, per certi versi è più a misura d'uomo, se non fosse che è infestato. Dalle triadi, che comandano per davvero, da secondini inumani e dalla burocrazia che non permette di reagire agli abusi subiti se non con la violenza privata. Non siamo di fronte ad un atto d'accusa esplicito, ma ad un nuovo livello di consapevolezza del noir di Hong Kong, che dopo aver eletto a teatro della tragedia strade, vicoli e paesaggi urbani, ricorre alle quattro mura per esplicitare il suo bisogno di sangue e violenza. Il paragone con l'inferno (dantesco) non è casuale: la prigione, le cui architetture solari sono un perfetto ossimoro, è l'ultimo girone prima della redenzione, di qui o si esce migliori o non si esce per niente. Due uomini diversissimi possono quindi venirsi incontro, uno - sorta di Virgilio, che accompagna e spiega il modus vivendi dei detenuti - è dentro da tempo, ha imparato a convivere con le dure regole non scritte della sua nuova casa; il secondo è l'alter ego della spettatore, un uomo comune, incastrato dalla sfortuna e dall'inefficenza delle leggi vigenti. Non mancano le spettacolarizzazioni cruente tipiche del prison movie - risse, agguati, feroci sottomissioni -, ma risaltano soprattutto le parentesi intimiste. Frammenti delicati che per contrasto con lo squallore circostante permettono a Ringo Lam di chiarire la sua posizione politica e la sua poetica.
Sfruttando personaggi che sono icone preconfezionate - il sovrintendente coscienzioso, la guardia malvagia (eliminata violentemente), il boss alleato dei secondini, i carcerati crudeli ma con un grande senso dell'onore - l'autore dà vita ad un ecosistema autoregolato e autosufficiente. Ciascuno dei condannati ha un motivo per cercare di restare a galla e per non cedere del tutto alla tentazione di abbruttirsi e rinnegare quei valori primari che rendono civile un uomo. Basta allora la stima reciproca con un compagno di sventure - la cosiddetta amicizia virile elevata alla massima potenza -, che può comprendere dolori e angosce meglio di chiunque altro. Molto meglio, senza dubbio, della fidanzata che vive fuori dalla realtà ristretta della prigione, e che quindi esce momentaneamente dal cuore del detenuto per essere rimpiazzata. Come avviene in guerra: subito dopo la mamma c'è il compagno di fronte, il resto dell'umanità è marginale. Ringo Lam dimostra con questo film di essere un regista importante, commercialmente affidabile, e ha il merito di scegliere due dei migliori attori in circolazione, il meditato e ingenuo Tony Leung Ka-fai, e il gigionesco Chow Yun Fat, e di averli diretti con maestria. Entrambi gli interpreti forniscono infatti una prestazione eccellente, tra le migliori della loro fortunata carriera. Racconta un aneddoto che il ruolo del detenuto Ko Chau sarebbe dovuto andare a Danny Lee (già con Ringo Lam nel precedente City on Fire) ma che questi abbia rifiutato per paura di essere oscurato dalla presenza di Tony Leung, troppo bello e bravo per poter ipotizzare un confronto. Il ripiegamento su Chow è stato un fortunato colpo di genio: l'attore riesce infatti a sintetizzare in un'unica occasione la sua verve comica e i personaggi duri, à la A Better Tomorrow, che lo hanno reso popolare. L'uso del flashback è ben calibrato, e riesce a creare la giusta tensione melodrammatica, aiutato in questo anche dall'ispirata colonna sonora jazzata. Con un deludente seguito, Prison on Fire è assurto a modello ed è stato rifatto in tutti i modi: le migliori riproposizioni sono quelle in chiave giovanilistica di The Young Ones di Steve Cheng e intellettual-rétro di Chinese Midnight Express di Billy Tang.

Hong Kong, 1987
Regia: Ringo Lam
Soggetto / Sceneggiatura: Nam Yin
Cast: Chow Yun Fat, Tony Leung Ka-fai, William Ho, Roy Cheung, Tommy Wong

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