Rape TrapSteve Cheng è regista altalenante, che riesce a stupire se trova una sceneggiatura abbastanza solida tanto da doverci solo ricamare sopra (è il caso di The Rules of the Game) o abbastanza libera tanto da poter sperimentare e lasciare libero sfogo alle sue intuizioni visive (si veda ad esempio Horoscope 1: The Voice from Hell o il divertissment Bio-Cops), ma che delude invariabilmente in quei casi in cui lavora su sceneggiature appena passabili e/o con carenza d'inventiva (valga d'esempio il pessimo Violent Cop). Caso liminale è allora questo Rape Trap, che se la cava con una partenza interessante e una prima metà discretamente sopra la media, per perdere poi ritmo e interesse nella seconda, sprofondando nel finale. La trama ha a che vedere con una coppia alla disperata ricerca di soldi. Il ragazzo convincerà la propria partner a contrarre un finto matrimonio con un industriale che ha bisogno di sposarsi per poter incassare una ingente eredità, da spartire congruamente in un secondo tempo, a divorzio avvenuto. Peccato che l'industriale abbia tutte le intenzioni di consumare le nozze, e che il ragazzo nel frattempo trascorra il suo tempo con un'altra donna.
L'elemento più interessante, in questo plot sì discreto (altri elementi si aggiungono in un secondo tempo, come un poliziotto e la sua relazione con il padre) ma non certo originale, è la riuscita struttura ad incastri che alterna flashback e flashforward in un continuo gioco temporale che svela lentamente tutti i retroscena. In questo modo la pellicola assume l'aspetto di uno studio stilistico - convincente dal punto di vista tecnico, ma purtroppo alquanto algido sul piano emotivo. Questo svantaggio di fondo è aggravato dal fatto che tutte le idee vengono bruciate in partenza, e una volta che gli elementi sono ben disposti sul tavolo, la vicenda perde di incisività per incanalarsi in un dramma procedurale e sentimentale di routine, privo di qualsiasi appiglio e consequenzialità rispetto al background costruito. Non che il film precipiti nell'inguardabile o che stravolga le premesse fino a snaturarle, ma la sensazione generata ricorda un'auto lanciata a massima velocità che finisca improvvisamente la benzina, riducendosi a procedere per inerzia.
La regia è accurata, così come il montaggio, mentre scenografie e fotografia si limitano a svolgere il loro compito senza rimanere particolarmente impresse (in particolare le locazioni denotano una certa povertà - cosa che si nota in un film girato principalmente in interni). Per quanto riguarda infine gli attori, Anthony Wong ricalca il suo prototipo standard dell'apparente normale che nasconde una scintilla di oscura follia, in un'interpretazione - sarà per i vestiti vagamente simili - che ricorda da vicino quella regalata in Three Days of a Blind Girl. Ada Choi è, come capita spesso, ambivalente; da un lato è credibile e sufficientemente sperduta, dall'altro è un po' monocorde e il suo personaggio scivola via senza lasciare alcunché nello spettatore. I due personaggi cui prestano il volto Woody Chan e Michael Tse (il fidanzato e il poliziotto cui si accennava) sono tutto sommato scialbi e in qualche modo trasparenti; detto un po' brutalemente, senza infamia e senza lode.
Un thriller dalla struttura non banale, in grado di svolgere la primaria funzione di intrattenimento senza far storcere eccessivamente il naso, ma al quale si sarebbe voluto veder osare di più.

Hong Kong, 1998
Regia: Steve Cheng
Soggetto / Sceneggiatura: Do Chi Git
Cast: Ada Choi, Woody Chan, Michael Tse, Anthony Wong, Diana Pang

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