Shamo

Soi Cheang non è un tipo facilmente “riducibile”; non è incline a etichette né all'individuazione di un qualsivoglia percorso autoriale. Anche per questo è profondamente hongkonghese. Love Battlefield resettava noir e melò in maniera personale, discutibile ma con una forte dichiarazione di intenti. New Blood riscriveva le regole dell'horror in un tempo che ne aveva un gran bisogno. Dog Bite Dog alzava inesorabilmente l'asticella della brutalità in un action de-umanizzato, mandato a memoria da Nicholas Winding Refn.

Forte della sua credibilità, Cheang ha potuto levarsi lo sfizio di girare Shamo e di spiazzare ancora. Proprio riprendendo il tema ferale di Dog Bite Dog e unendolo a Tekken e a un'estetica manga che non gli è del tutto propria, sfuggendo alle attese. Shamo è un film che non fa nulla per farsi amare, che indulge in dettagli discutibili (gli insetti dell'incipit nascondono un simbolismo da mutazione in atto o sono un semplice macguffin per allodole cinefile?), che sembra una storia di vendetta a cui manca la catarsi, che privilegia un'estetica da straight-to-video ma mostra chiaramente la mano di un regista compiuto. Il manga originario è rispettato nella trama e nello spirito, portando a uno script inevitabilmente zoppicante e ricco di incongruenze, ma quel che importa a Cheang è riuscire a “tagliare la luna” come l'improbabile maestro Kurokawa - un Francis Ng ingiustamente dimenticato dallo star system di Hong Kong - insegna all'altrettanto improbabile eroe Ryo. Non importa come, importa farlo.

Ryo, creatura inconsapevole del proprio destino e delle sue cause, dimenticata da dio e dagli uomini, accetta in ogni caso martirio ed espiazione, il fatto di subire da tutto e da tutti e di rispondere con la rabbia di un animale ferito, sprigionando un’energia insospettabile che alberga nell’uomo e che solo condizioni disperate possono far emergere. E nelle esili braccia dell'indomito Ryo che si alzano ancora una volta, nonostante i colpi subiti, c'è autolesionismo più che resistenza, nichilismo più che coraggio, harakiri più che spirito jacklamottiano. L'estremo sacrificio di una volontà (quella del cinema? O del cinema in cantonese?) irriducibile: cinema di lotta, cinema e lotta, un binomio inscindibile.

Hong Kong, 2007
Regia: Soi Cheang.
Soggetto/Sceneggiatura: Izo Hashimoto, Szeto Kam-Yuen.
Cast: Shawn Yue, Francis Ng, Dylan Guo, Masato.

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