The BastardUn orfano è allevato da un eremita esperto di arti marziali; l'anziano maestro gli insegna tutto ciò che sa, tenendolo con sé per diciotto anni. Quando crede che il ragazzo sia pronto per affrontare il mondo, gli racconta che lo ha trovato nei pressi del tempio Xiang Yun, in una vicina città, e gli affida il compito di scoprire l'identità dei suoi veri genitori. Il giovane parte all'avventura, per lo più ignaro degli insidiosi pericoli e delle malie che la società cittadina nasconde - con tutte le bassezze e i soprusi che i poveri sono costretti a subire per sopravvivere. Giunto in città di notte, incontra il mite Zhang, solerte spazzino, che gli affibia il nome di piccolo bastardo, dato che non conosce nulla della sua famiglia. Subito dopo ha occasione di salvare una ragazza dalle insidie di un gruppo di scavezzacollo, ai quali ha appena vinto dei soldi giocando a dadi; si tratta di Hsiao Yi, una mendicante che lo accoglie sotto la sua smaliziata ala protettrice e che gli insegna alcuni trucchi per raccimolare soldi con le elemosine. I problemi sorgono quando il clan cui appartengono i poco di buono, la potente famiglia Gu, mette gli occhi sul piccolo bastardo, incredibilmente somigliante al primogenito Gu Ying Xong, imprigionato per aver ucciso un funzionario. Sedotto dalla stordente sensualità di Ai-zhen, complice della famiglia, l'ignaro giovane si appresta a diventare una scomoda controfigura...
Chor Yuen, divenuto in seguito famoso per una incalzante serie di trasposizioni di wuxia tratti da novelle di Ku Lung, dimostra di saper ben gestire i tempi del gongfupian; questo The Bastard, nonostante le evidenti prolissità, rimane impresso per l'abile riscrittura di un classico occidentale tipicamente ottocentesco come La maschera di ferro di Alexandre Dumas. I basilari elementi del cinema di arti marziali (l'onore, la vendetta, l'amicizia tradita, la crescita interiore legata all'abbandono dell'innocenza originaria) sono inseriti con convinzione nel sotteso tema del doppio, una dicotomia che evidenzia le diverse pulsioni dell'animo umano: da un lato la povertà, indice di semplicità (prima di tutto spirituale), dall'altro la ricchezza, spietata metafora del cuore nero dell'umanità (raggiri, doppi giochi, una selva di menzogne a coprire le proprie colpe). Sullo sfondo emergono temi altrettanto peculiari: la fratellanza elettiva tra i paria della società (l'orfano e la mendicante, ma anche la complicità di compare Zhang), la falsità e i sotterfugi dell'amor fou, l'impenetrabile sottobosco di pericoli che mina il cammino dei puri di cuore, destinati a cozzare contro la realtà di un mondo selvaggio e spietato. Lo dimostrano ancor di più le frasi che il nostro piccolo bastardo si ostina a scrivere sul suo quaderno di appunti (come gli ha insegnato a fare il suo maestro, perché rileggendolo possa diventare un uomo migliore): frasi senza dubbio retoriche - «In tempi come questi solo i poveri aiutano i poveri», «Tutti i ricchi sono cattivi» - ma che ben evidenziano la tensione latente che è costretto a sperimentare attorno a sé.
Scoperto negli intenti, The Bastard rimane schiettamente efficace pur nella sua audace e reiterata ingenuità. E se la prova di Chung Wa ristagna tra il legnoso (nelle scene d'azione) e il basito (quando si tratta di scoprirsi bambino sperduto), a rapire è l'accanimento di Lily Li - in una performance certo sopra le righe, ma travolgente.

Hong Kong, 1973
Regia: Chor Yuen
Soggetto / Sceneggiatura: Yau Gong Kin
Cast: Chung Wa, Lily Li, Lau Dan, Cheng Miu, Kong Ling

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