The Eye 2Visto il successo di The Eye - a sorpresa è stato esportato anche in gran parte delle sale cinematografiche occidentali -, era impensabile non ipotizzare la messa in cantiere pressoché immediata di un sequel. The Eye 2 arriva a due anni di distanza dal fratello minore e prova a muoversi sugli stessi binari di maturità spirituale da horror del nuovo millennio, spaventoso ma al tempo stesso con un messaggio ben preciso di cui si fa latore. Nel primo il tema portante era la cangiante mutevolezza della percezione sensoriale, in questo le ambizioni salgono di livello e parlano di consapevolezza della ciclicità karmika, di reincarnazione, di fiducia, concepimento, tradimento. Una meravigliosa Shu Qi, allucinata vittima drammaticamente a suo agio in ogni film di tensione cui prende parte, sostituisce la dimissionaria Angelica Lee (che in parallelo esce al cinema con un prodotto dello stesso genere, Koma di Law Chi Leung) e praticamente abbandonata a se stessa affronta i temibili fantasmi di due città - Bangkok e Hong Kong - alla ricerca di una risposta a una domanda talmente evasiva da risultare finanche poco interessante.
I fratelli Pang, ormai illustri autori thai-hongkonghesi, continuano a dimostrare un'innegabile perizia tecnica a fronte di un soggetto stiracchiato, che vive alla giornata, rifacendosi a modelli illustri (in particolar modo il sudcoreano Unborn but Forgotten, a cui è nettamente superiore) e illuminando di un buio scintillante le tetre notti metropolitane. Il vero quesito è se i due gemelli siano pronti per assumersi un ruolo, auto-impostosi, di alfieri di un cinema innovativo, (post)moderno, globale e contemporaneamente particolare, aggiornato alle mode del momento ma superiore alla facciata di cassetta; oppure siano semplici esecutori dal bagaglio professionale invidiabile e con limitata originalità da spargere, poco per volta, in ciascun film. Fatto sta che The Eye 2, nella sua semplicità, funziona (molto più del prototipo), fa paura, tiene sulla poltrona per almeno un'ora con il fiato sospeso, tra colpi di scena prevedibili ma funzionali, musiche ad effett(acci)o, geniali lampi di fotografia, grafica digitale usata in maniera non disdicevole e un accumulo costante di tensione. Manca però la zampata finale - leggi: un epilogo didascalico, spiegato troppo in fretta, dalle atmosfere malinconiche, presumibilmente influenzato dal co-produttore Peter Chan (non a caso siamo dalle parti del suo episodio Going Home in Three, presenza di Eugenia Yuan compresa) - che permetta al prodotto exploitation l'ultima metamorfosi, la fusione totale tra perfezione formale, budget, aspirazioni colto-commerciali, recitazione di livello e finezza narrativa.

Hong Kong, Thailandia, 2004
Regia: Danny Pang, Oxide Pang
Soggetto: Lawrence Cheng, Jojo Hui
Sceneggiatura: Jojo Hui
Cast: Shu Qi, Eugenia Yuan, Phillip Kwok, Jesdaporn Pholdee, Rayson Tan

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