Trivisa

I tre "Re dei Ladri" sono uniti da un destino invisibile nella Hong Kong 1997, che si appresta a ritornare in seno alla Cina. Stanchi dei compromessi a cui sono costretti dal nuovo scenario politico, i tre decidono di unire le proprie forze.
Trivisa indica i tre "veleni" del buddhismo: Illusione, Furia e Avidità, incarnati dalle personalità di Cheuk, Kwai e Yip. Un film che per i suoi contenuti potrebbe sembrare una scheggia di anni '90 proiettata in un'altra epoca, un messaggio in una bottiglia lasciato per qualche alieno di passaggio, a indicare come fosse Hong Kong prima del 1997. Ma che su un piano più profondo dimostra la sua collocazione nel terzo millennio e il suo sguardo à rebours verso l'handover dell'ex colonia.

Assistere a una rivisitazione, da parte di una nuova generazione, di quel misto di cinema noir e saga popolare, tecnicissimo nella sua messa in scena e semplice fino all'ingenuità nello spirito e nella vicinanza umana ai suoi personaggi, è un'esperienza oltremodo stimolante. Perché si tratta di una riscrittura fedele del canone, operata da chi è cresciuto in un milieu che già glorificava quella forma cinematografica. L'occhio del fan diviene lo sguardo del rispettoso continuatore di una tradizione, che si trasfigura in mito. Il passaggio di uno dei tre Re dei Ladri, Yip, da copkiller a grigio contrabbandiere di televisori, è la transizione da un irripetibile ecosistema autosufficiente a un mero ingranaggio della macchina cinese, che conserva ben poco di quella peculiarità. Un bandito leggendario diviene un lacchè dei potenti, così come delle Guardie Rosse diventano sgherri del primo venuto. L'analisi sociologica si mescola a quella sui media, con una riproposizione ossessiva del video di una sparatoria di Yip che diviene per traslato riproposizione di una delle sequenze più spettacolari e iconiche del cinema di To (e di quella Hong Kong), ovvero il piano sequenza iniziale di Breaking News, peraltro interpretato dal medesimo protagonista (Richie Jen).

Trivisa 2

Protagonista è infatti ancora una volta lo handover, il passaggio di consegne di Hong Kong dalla Gran Bretagna alla Cina, con la nascita della regione a statuto speciale. Il "limite" - per nulla celato, quasi ostentato - di Trivisa è quello di arrivare vent'anni dopo opere fondamentali per quella cinematografia, presupponendole e omaggiandole. Ma questo debito di riconoscenza e di ispirazione diviene anche uno dei pregi principali di un'opera che si rivolge a un target molto specifico, ricorrendo a ogni possibile strizzata d'occhio. Dietro le quinte l'artefice è ancora una volta Johnnie To, colui che ha reso il noir di Hong Kong un marchio autoriale, esportandolo nei festival internazionali più prestigiosi.

Ma se Trivisa è una produzione Milkyway e il sospetto che un tocco del maestro ci sia è lecito, resta altresì chiara l'intenzione di promuovere talenti nuovi, mettendoli al servizio di un racconto esemplare della fabula hongkonghese (Jevons Au peraltro è anche tra i registi del controverso Ten Years, che ha fatto infuriare il governo di Pechino). I giovani virgulti, usciti dalla palestra della Fresh Wave di To, tributano un omaggio sincero a un'epoca, con la venerazione acritica e la prospettiva storica che solo il fan di una generazione successiva può avere. Oltre a una meticolosa attenzione per i dettagli, come la riflessione metanarrativa sulla transizione ai telefoni cellulari, che rimpiazzano i pagers, cercapersone al centro della sceneggiatura di molte opere della Hong Kong anni Novanta.

Per i fan del cinema di Hong Kong un must assoluto, con pericolo di lacrime nostalgiche. Gli altri spettatori forse non coglieranno ogni sfumatura, ma godranno di un action inconsueto e tecnicamente impeccabile, tale da poterli avvicinare al genere e forse, col tempo, rendere anche loro dei seguaci.

 

Hong Kong, 2016
Regia: Frank Hui, Jevons Au, Vicki Wong.
Soggetto/Sceneggiatura: Lung Man-hong, Thomas Ng, Mak Tin-shu.
Cast: Richie Ren, Gordon Lam, Jordan Chan, To Yin-gor, Philip Keung.


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