The DetectiveAhi, che male. Mi ha appena colpito un frigo digitalizzato mentre attraversavo la strada per il teatro e il dolore non se ne vuole andare. Chi ha assistito alla scena racconta di un effetto imbarazzante al pari dell'inizio di Le fate ignoranti. D'altronde scappavo da un fantasmino J-horror lungocrinito, quindi il rischio si poteva pure correre.

Mi rendo conto che la linea editoriale va in un'altra direzione, ma, fatta eccezione per l'ottimo funkettone thai che ci accompagna qua e là e per un notevole Aaron Kwok, The Detective è quasi un'elegia di un modo di fare cinema che fa molti più danni del vituperato Michael Bay. Un volume stratosferico per raggiungere il pathos necessario con mezzi poco leciti, estetica videoclippara di ritorno, script alla buona-la-prima, ecc. Ho sperato fino all'ultimo che il colpevole fosse l'amico poliziotto con una parrucca J-horror che manco un incrocio tra De Palma e Nakata, ma pure così il livello di trash del finale non è da buttare. Ma quello dei fratelli Pang è  linguaggio cinematografico o fumo negli occhi? La discussione (e la risposta) rimandate a un dibattito in salotto tra il sottoscritto e il Di Giulio; coordina la D'Eusanio, per l'occasione con parrucca nera liscia, e il tutto sarà ripreso in streaming su Hong Kong Express. Promesso.
Ma non di soli fratelli Pang si vive: ad esempio Adrift in Tokyo, con quel titolo suzukiano, ha diradato le ultime nubi su Miki Satoshi, capace qui di mescolare il talento per la comicità nippo-surreale con una vena lirica e malinconica che non gli avremmo attribuito. Odagiri Joe mai così in palla e davvero si respira aria di New American Cinema anni '70, una sensazione di libertà assoluta. Chapeau a Mark Schilling e la nippo-selezione 2008 anche per il film di prima serata, storia di manga e donne bellissime ma perfide, di casalinghe-oggetto e situazioni semi-incestuose; Funuke, Show Some Love You Losers! non rappresenta necessariamente una novità per chi si nutre abitualmente del malessere adolescenziale Made In Japan, ma sa appagare anche i palati più esigenti e raffinati. Analogamente a quanto regalato da Going by the Book, spassosa action-comedy coreana su una simulazione di rapina che prende una piega inaspettata: si ride come ai tempi di Attack the Gas Station, senza vergogna. I momenti di maggiore violenza hanno rischiato di trasferirsi dallo schermo alle prime file, dove si è sfiorato uno showdown degno dei bassifondi di Pusan (coinvolto ancora Asian Feast, ahi ahi, ma non Locati, al quale – per scusarsi dell'inconveniente al Due Palme – pare sia stata offerta una suite reale dal principe della Thailandia. Peccato per l'obbligo di co-sceneggiare un nuovo musical patriottico di 5 ore). Intanto l'horror day si avvicina e non abbiamo ancora programmato un'escursione alternativa...
Nella prossima puntata: lezione di Muay Thai con Jean «Dr. Brass» Bouton – il rapimento nordcoreano della salma di Shin Sang-Ok – perché il film di fantascienza apocalittico filippino non è esattamente una scelta vincente.
Salut

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