Retrospettiva Chor Yuen
di Paolo Bertolin, Matteo Di Giulio, Nicola La Cecilia, Stefano Locati, Valentina Verrocchio

La personale ricetta di Chor Yuen per un film di semplice intrattenimento: commedia e thriller, mélo e arti marziali, Diabolik e Robin Hood, il tutto declinato al femminile, in virtù delle protagoniste, due sorelle ladre che rubano ai ricchi per dare ai poveri. C'è da notare che The Black Rose è del 1965, poiché questa data oltre a far riflettere sull'arditezza / sensibilità / intelligenza / bravura con cui il regista già all'epoca riusciva a organizzare dei materiali di partenza così eterogenei e apparentemente recalcitranti, rivela anche la matrice semplicemente sincretica del cinema popolare hongkonghese, mentre in occidente, in ambiti assolutamente non cinematografici, il dibattito sul postmoderno era soltanto agli albori. * Melodramma neorealista incentrato sull'amore parentale, The Great Devotion si distingue da opere similari, occidentali e non, per il fatalismo che lo innerva e per la presenza vigorosa di un'accorata analisi sociale che non teme l'istanza ideologica. Sull'ossatura della lotta per mantenere la propria numerosa famiglia da parte di un professore licenziato in tempi di recessione generalizzata, The House of 72 TenantsChor Yuen innesta infatti le costole di un pervasivo ritratto in nero della condizione proletaria, vestendo in prima persona i panni di un novello Robin Hood. Il côté dell'impegno sostanzia, ma non prevarica mai su una riuscita di cinema corroborante, aperta in fine, alla speranza, attraverso la solidarietà di classe. * The House of 72 Tenants è l'adattamento di un'opera teatrale di successo, in co-produzione con la tv, e uno dei maggiori incassi del 1973. Commedia corale su un condominio abitato da un eterogeneo gruppo del sottoproletariato, si rivela fresca, irriverente, politicamente schierata (i cattivi sono i due proprietari, i poliziotti sono corrotti, i pompieri chiedono mazzette per intervenire), una gioia soprattutto per gli amanti di lunga data del cinema di Hong Kong, con una selva di cammei da indovina chi - Danny Lee, Lily Ho, Helena Law, Betty Pei Ti. * Irruzione negli inusuali territori del thriller psicologico per In My Dream Last Night, del 1963, in cui un giovane ubriaco investe una ragazza lungo una strada di campagna, la porta a casa per occultare le prove e si ritrova ad indagare sulla sua reale identità (lei ha un'amnesia). Tra tensione e istinti drammatici, Chor Yuen imbastisce un'architettura inconsueta, persino sensuale nel solitario vagare notturno della protagonista, ma stempera parte della novità in uno sviluppo ridondante, che vuole spiegare tutto e subito, accumulando troppe ripetizioni. * Intimate Confessions of a Chinese Courtesan, del 1972, è un circolare film in costume venato di una sottile sensualità omoerotica femminile, scandalosa per i tempi, diretta fonte d'ispirazione per il famoso Naked Killer di Clarence Ford - di più di vent'anni successivo. Elegante nella messa in scena e nei movimenti di macchina, esasperato nei toni tragici, pur sempre calibrato nella resa drammatica, assomiglia a un rape and revenge dei più semplici, ma non rinuncia a una narrazione cristallina (a dimostrarlo basterebbe l'intero duello finale sotto quella neve così palesemente artificiale) che gli fa raggiungere lo status di classico. * Con Killer Clans Chor Yuen non si risparmia: inizia con un nudo gratuito, inquina le acque presentando decine di personaggi nel giro di pochi minuti, ne elimina buona parte a sorpresa, dimostrando spirito e gusto da prestigiatore. Intrecciando storie, umori e passioni, il geniale regista gioca con il pubblico, lo stimola, gli offre esempi e citazioni; alla fine assesta un gran colpo di scena prima di chiuedere con un splendido inseguimento in notturna. Il palco è tutto per Yueh Hua, uno degli attori chiave del wuxia targato Shaw Bros, amata pedina dell'autore, che gli concede tutte le armi possibili in una serie continua di duelli di rara eleganza ed efficacia. * Storia di discriminazione femminile, tra cieca tradizione patriarcale e rigurgiti di caccia alle streghe, A Mad Woman è un'opera che fonde in sublime sincretismo l'afflato del mélo più avvincente con le venature di un tetro horror d'ombre e scricchioli,The Black Rose concedendosi pure, nel primo atto le sapide stoccate della satira sferzante. Aperto da un'apparizione sullo schermo dello stesso Chor Yuen, carica di un non scontato e ammirevole impegno in prima persona rispetto a quanto a venire, A Mad Woman è un'opera di fortissimo impegno, anti-oscurantista, di audace e vivido progressismo. Virtualmente perfetto su tutti i fronti dell'espressione cinematografica, trascinante ed emotivamente potentissimo, il film di Chor Yuen è un compendio essenziale dei modus della cinematografia cinese, all'interno di cui è doveroso collocarlo nel pantheon dei capolavori maggiori. * Realizzato nel 1969, in pieno fervore di modernismo cinematografico, The Prodigal aderisce perfettamente a una corrente di cinema che scopre l'espressività di una mdp non più mera testimone di sceneggiatura e recitazione, ma voce viva che informa e dà tono alla messa in immagini. Va da sé che il film di Chor Yuen potrà richiamare in molti, per stilemi (contre-plongée, luministica contrastata, inquadrature sghembe utilizzate come veicoli espressivi) e tematiche (ribellione giovanile, lotta di classe), parecchie opere pressoché contemporanee di area asiatica, da Oshima ad Imamura, e forse il gusto per un'enunciazione cinematografica marcata e sempre visibile potrà oggi parere datato, se non estraniare. Nondimeno si tratta di un esempio magistrale di un cinema dall'articolazione linguistica complessa e stimolante, capolavoro turgido che riprova l'estro proteiforme di Chor. * Due amici, due donne, due pittori, due stili artistici diversi... tutto doppio tranne un imponente unico mozzafiato ritratto intitolato Tear-Laden Rose. Gran mélo sgangherato e scontato; grande attrazione di opposti, grande storia di amicizie e sacrifici ai limiti dell'inverosimile, grande raccoglitore di colpi di scena impossibili, questo è uno dei Chor Yuen invecchiati peggio, eppure lo stesso guardabile non fosse altro che per vagabodare con Patrick Tse in una Hong Kong senza grattacieli... * La tessitura dei mélo di Chor Yuen è intrecciata su una trama stilistica di maturità corposa sulla quale s'annodano le variazioni di mutevoli coloriture drammaturgiche: lo splendido Winter Love, tra slanci d'emozione e contegno adulto della sofferenza, ammanta esemplarmente il suo intreccio in un velluto formale fatto delle volute di una stratificazione di flashback, che scoprono di volta in volta i preziosi ricami dell'accurata composizione del quadro e del tattile disegno dei personaggi. Interpreti di consistenza sopraffina, serica, tra cui pure una giovane Josephine Siao. Memorabile la sequenza nello stadio di calcio, vuoto, di notte: stampa indelebile su pellicola di un arte che s'appropria di luoghi per abitarli di un'astrazione filmica vertiginosa. * Connie Chan, la straordinaria inarrestabile birichina di Young, Pregnant and Unmarried, pensando che il papà si arrabbierà di meno essendo abituato alle sue marachelle, ne combina una davvero grossa fingendosi incinta per coprire la gravidanza della sorella (e non sapendo niente di come si fanno i bimbi!). Ancora una volta Chor Yuen degli scambi e dei doppi in un film super divertente, audace e ingenuo insieme, senza tempo e con tanto sfrenato e buffo senso dell'umorismo.

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