IL SUD EST DI UDINE

1.1 Introduzione
di Matteo Di Giulio

Yesterday Once MoreLa settima edizione del Far East Film Festival di Udine presenta un'importante novità logistica, la riapertura, dopo i fasti trascorsi del Cinema Ferroviario, di una seconda sede per le proiezioni, sede parallela di una minuta ma interessante mostra su manga e anime. Il Cinema Visionario, ambizioso progetto portato avanti dal Centro Espressioni Cinematografiche, rappresenta un nuovo polo in cui si concentrano, in questa occasione, le pellicole della retrospettiva principale, quasi a voler distinguere a priori - ma questa è una malignità del critico cinico - l'illustre produzione del passato e quella zoppicante del presente. Il cartellone non fa che confermare, infatti, due grossi dubbi già emersi nelle precedenti edizioni:

1) Da un lato, generalizzando e banalizzando, il calo qualitativo di un panorama filmico in apnea, soprattutto per quanto riguarda la rientrante Corea del Sud e le cinematografie minori limitrofe (Thailandia, Filippine, la new entry Malaysia);


2) In seconda battuta, una difficile sintonia del comitato di selezione, non per questo miope e biasimabile in toto, tra esigenze festivaliere, gusti dell'audience e una mediazione poco conciliante tra aspetti spettacolari e pretese autoriali delle opere presentate.


Da simili premesse - lungi dalla nostra volontà un processo alle intenzioni, visto che è bene ribadire l'eccellenza del lavoro del CEC in un panorama festivaliero nostrano altrimenti asfittico, se non addirittura inesistente - escono particolarmente bene, rivitalizzati, il solito Giappone, d'altronde difficilmente inquadrabile e tutto sommato poco riconducibile a una decina scarsa di opere, per quanto di valore, e Hong Kong. L'ex colonia britannica beneficia di un'annata positiva che, al di là di una scelta di parte non opinabile (in quanto autoreferenziale) come Yesterday Once More, arriva a contemplare, con poche eccezioni, un ottimo stato di salute. E' semplicistico - anche se nel breve periodo è un giochino divertente - criticare per le assenze più o meno clamorose, per i rifiuti, meglio se snobistici o partigiani, per le defezioni: ciò che conta è lo sguardo di insieme su una proposta insindacabile, da prendere o da lasciare, in toto.

1.2 Sguardo su Hong Kong
di Matteo Di Giulio

Hidden HeroesLa regione a statuto speciale una volta conosciuta come la Hollywood d'oriente, si diceva, trae vantaggi dalle valide opzioni e in controtendenza con il passato recente fa un passo avanti. Hong Kong e il suo cinema non scoppiano di salute, e, visto l'andazzo di inizio 2005 in prospettiva futura, un momento di pausa tra una crisi e l'altra non deve assolutamente far abbassare la guardia per celebrare la fortunosa parentesi qui rappresentata. Ovviamente vale anche il discorso inverso: non è un caso se vengono prodotti film validi e se la media, quantitativa e qualitativa, si è alzata di qualche punto percentuale.
Resta il fatto che quasi tutti i generi, ben tratteggiati da opere identificative, hanno goduto di un lieve miglioramento, e che soprattutto anche le pellicole meno rappresentative o poco riuscite hanno perso quell'alone di globalizzazione che rischiava di snaturare lo spirito stesso di Hong Kong e del suo cinema. Hidden Heroes di Joe Ma e Cheang Pou-soi, tanto per citare un titolo controverso, non è infatti il non plus ultra di commedia e azione, ma il suo mix, pasticciato anzichenò, di umori e sensazioni riporta, con le dovute proporzioni, alla follia di un Jeff Lau o di un Lee Lik-chi, con il medesimo intento sperimentatore e dissacrante. Dall'altro lato la maturazione di registi che stanno cercando i propri spazi di manovra: Cheang Pou-soi, che sforna con Love Battlefield un noir che ha sì diviso ma anche capace di rimettere in gioco gli stilemi del poliziesco classico; Edmond Pang, in grado di produrre un film d'alto livello come Beyond Our Ken, compiuto e incisivo, e di giocare con il low budget AV, commedia surreale fatta con due lire ma non priva di idee interessanti; Sam Leong, il cui Explosive City possiede grinta e rabbia neccessarie ad accumulare tensione e scene d'azione degne di note. Al fianco di questa generazione di mezzo, una serie di veterani che a parte qualche piccolo sbandamento non perdono colpi. Derek Yee si reinsedia sul trono di re di Hong Kong, per quanto riguarda sia gli incassi che i plausi della critica: è perfetta testimonianza del uso stato di salute e di ispirazione l'applaudito One Nite in Mongkok, in cui l'autore rispolvera le sue istanze più cupe e le mette al servizio di un cast diretto con grande classe. Un gradino più in basso James Yuen si riscopre un vincente, un potenziale outsider al pari della grazia animata del ritorno del cartoon più amato nella S.A.R., McDull, il maialino che meglio di ogni altro personaggio di questo Far East incarna la voglia di rimettersi in discussione e di risalire pazientemente la china di una città e della sua gente.

1.3 Retrospettiva: Jupiter Wong
di Matteo Di Giulio

Dal nulla il FEFF, in collaborazione con l'Hong Kong Film Archive, celebra il talento fotografico di un artista da noi poco conosciuto e regala una splendida sorpresa a tutti gli intervenuti, a partire dalla scenografia avvolgente. Una piccola galleria cosparsa di polaroid ci introduce infatti nel mondo colorato e variopinto di Jupiter Wong, uno dei più apprezzati fotografi di scena di Hong Kong, al servizio di registi grandi e One Nite in Mongkokpiccoli, di film meno noti e di capolavori, con una tecnica cristallina come biglietto da visita e un talento visivo di grande impatto a chiudere il cerchio. Persona umile e disponibile, Jupiter Wong è l'altra faccia del cinema di Hong Kong, a metà tra artigianato necessario e tentativo - peraltro decisamente riuscito - di elevare una professione allo status di arte.
Le sue foto sono memorabili, riportano al cuore ricordi mai troppo sopiti, di un passato e un presente cinematografico di cui innamorarsi, a posteriori, anche senza guardare effettivamente i film ma solo cogliendone lampi e frammenti immortalati su pellicola. Sia le foto catturate sul set, nei momenti di pausa e di lavorazione, sia gli intensi primi piani dei protagonisti - penso alle splendide Anita Mui e Sylvia Chang, ma anche a Derek Yee colto tra un ciak e l'altro - riportano lo star system cantonese e il suo contorno luccicante ad una dimensione umana, sentimentale, densa di sensazioni personali. Wong si è dimostrato una persona amabile, con tanta voglia di parlare del mondo in cui vive, quell'ecosistema a sé stante e molto particolare cui molti anelano, del suo lavoro e, soprattutto, dei compagni di avventura per i quali ama spendere bellissime parole di apprezzamento. Il libro Fame Flame Frame - Jupiter Wong Foto Exhitibition Catalogue, pubblicato dall'HKFA, correda e completa la sua presenza a Udine, regalando emozioni forti agli sguardi ammirati di chi, come chi scrive, per decine di volte ha percorso, avanti e indietro, in lungo e in largo, il Teatro Giovanni da Udine alla ricerca di qualche particolare nascosto, di un colpo d'occhio non notato in precedenza, di un piccolo lampo di luce da immortalare dentro di sé.

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