2. Film in programma
di Matteo Di Giulio e Stefano Locati

In AV Edmond Pang gioca con la macchina da presa, con i corpi e con le storie.
Racconta di un gruppo di post adolescenti nullafacenti che si inventa una casa di produzione per concupire un'attricetta giapponese di video per adulti. Nulla più che un pretesto, ma l'idea (e la realizzazione) a basso costo non sono altro che una diretta metafora dei sogni e delle speranze dei giovani che nel tempo si trasformano. Men Suddenly in BlackSe una volta le aule universitarie erano infiammate dalla rivolta, ora lo sono all'idea di conquistare con l'inganno l'altro sesso. Percorso dai risvolti amari, anche beffardi, che non esclude una crescita. Un gioco, appunto. Ma talvolta anche i giochi sono cose serie. * Che Edmond Pang non fosse lo sprovveduto giocherellone dell'esordio lo si era capito già con il piacevole Men Suddenly in Black. Per i pochi ancora scettici basti la scena di straniamento in cui Gillian Chung, complice Amandoti della Nannini in sottofondo, vaga attonita per la città dopo essere stata mollata dal fidanzato. Beyond Our Ken non è allora tanto un mélo quanto una lucida (e ludica?) dissertazione sulla crudeltà dell'amante ferito, della coppia che scoppia e nell'esplodere produce al tempo stesso dolore e sentimenti positivi. Capolavoro. * Crazy N' the City parla di poliziotti alla maniera di James Yuen: con toni pacati, riflessivi, il regista racconta una storia, abbastanza semplice all'inizio, che a spirale si allarga e include nel suo zigzagare costante sempre più personaggi. Se ne ricava una cartolina accorata di una città che mentre si lecca le ferite guarda avanti, al suo futuro, alle sue possibilità, rispecchiandosi nei suoi stessi personaggi, sangue del suo sangue, magari anche stereotipati ma mai privi di una propria anima e di una sensibilità unica ed irripetibile. * Crescita esponenziale di Sam Leong, che con Explosive City si impone all'attenzione generale nel calderone del noir-action hongkonghese, ormai da tempo in affanno. L'intreccio sfilacciato - su una killer che perde la memoria dopo un attentato e stringe alleanza con il poliziotto assegnato al suo caso - è gestito con grande senso del ritmo e meno banalità del previsto. Riesce a cavare dalla storia senso ed emozioni, senza strafare, sfruttando al meglio attori rodati (Simon Yam, Alex Fong). Nei momenti di magra basta e avanza. * Stupidaggine d'antan o tentativo inacidito di tornare al grottesco dei bei tempi che furono? Hidden Heroes parte da premesse infantili e da un volto comico, Ronald Cheng, ancora da plasmare; eppure mentre dipana la sua trama cresce di intensità emotiva e finisce, paradossalmente, per convincere, pur consci che si tratta di opera grezza, immatura e scolpita nel marmo a colpi d'accetta. Sintomo che a volte basta poco per lasciarsi cullare da quella sottile, dolce ingenuità di fondo che il cinema sa regalare ai sognatori. * Amato da molti, odiato da altrettanti: Love Battlefield è costretto a dividere perché, una volta tanto, osa, senza remore e ripensamenti, mettendosi in gioco. Mescola le carte del thriller nero e delLove Battlefield melodramma, tra sangue e passione, incastrando le derive del caso in un meccanismo di emozioni contrastanti - litigio, riappacificazione, rimpianto, perdita, abbandono. Una coppia sull'orlo del tracollo è divisa da una banda di disperati mainlander, e deve lottare per ritrovare l'equilibrio. Cheang Pou-soi si dibatte, dilata i tempi, monta alla grande e (giustamente) crede fino in fondo in quello che fa. * Al secondo lungometraggio da protagonista, il maialino McDull si conferma anima nascosta di Hong Kong, dove l'architettura postcoloniale, postindustriale, postsolidale di una città sospesa nella storia si (con)fonde con lo stupore dell'infanzia. McDull, Prince de la Bun tralascia lo sviluppo dell'intreccio e si concentra su singoli istanti, enfatizzando i personaggi rispetto al contorno. Le tecniche di animazione mista fanno così emergere emozioni sopite di ingenua, paffuta ironia. Non necessariamente riuscito, ma indelebilmente carino. * Con One Nite in Mongkok Derek Yee si improvvisa segugio e dà la caccia al miglior Johnnie To, al quale potrebbe insegnare molto in termini di umiltà. Il regista ritrova, dopo l'altrettanto valido Lost in Time, lo slancio giusto per sbancare al box office e costruire una storia dark dove poliziotti, killer e prostitute vanno di pari passo nella notte piovosa di una Hong Kong lugubre e umidiccia cui è impossibile non affezionarsi. Gli attori rispondono da par loro e il gioco è presto fatto. * Yesterday Once More è l'unica vera grossa pecca del festival, il deludente tonfo della coppia Johnnie To - Wai Ka-fai, i quali giocano ad imitare Hitchcock e il Norman Jewison di Il caso Thomas Crown - ma anche il John Woo di Once a Thief - senza possederne il giusto spirito. Autoreferenzialità, citazionismo, ironia spicciola e situazioni trite degradano una regia di qualità a mero artigianato locale. Nonostante il simpatico atto d'affetto nei confronti del FEFF e della città di Udine il film rimane un deprecabile spreco di talento, materiale umano e buone intenzioni.

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