Infernal AffairsPer uno dei progetti più importanti dell'ultimo decennio, ambizioso sfoggio di talento e budget importante, Andrew Lau, pur abituato ai blockbuster di successo (ma reduce da un paio di scottature recenti), preferisce dotarsi di uno dei registi emergenti più interessanti del panorama cantonese, Alan Mak, che lo aiuta anche - e soprattutto - co-sceneggiando e personalizzando un poliziesco altrimenti molto prevedibile. L'astuto regista-produttore mette insieme un cast stratosferico - tanto che all'estero il film passa, forse non a torto, per l'Ocean's Eleven hongkonghese - come paracadute di sicurezza al box office.

Tutto parte da un duplice doppio gioco (abilmente sintetizzato da un racconto di Anthony Wong, istrionico narratore come in Time and Tide): un poliziotto undercover e un mafioso infiltrato nelle forze di polizia, ad aiutare i loro ambiziosi capi, si scontrano, prima a distanza e poi da vicino. Superiore alla media di oggi, ancora inferiore al ricordo di quella di ieri, Infernal Affairs non lesina rimandi a un certo modo di concepire il cinema peculiare e intrigante (la colonna sonora con funzione diegetica in chiave mélo; personaggi sfaccettati; grande cura per i particolari e per gli indizi rivelatori; il finale molto ambiguo). Al di là degli schematismi e delle semplificazioni del caso, è un film compatto, universale, poco conciliante, pensato e costruito per il pubblico orientale (più occidentalizzato di un tempo), nonostante i diritti per il remake venduti agli americani e il grande successo ai botteghini cinesi, previo addolcimento (e appiattimento) del finale (alternativo) a beneficio di un pubblico buonista e più sprovveduto.
Netta alternanza di momenti sobri e pacchiane esibizioni di stile: il malizioso cade facilmente nella tentazione di attribuire a Mak i raccordi sotto controllo e a Lau gli stacchi estetizzanti (le solite zoomate folli, le velocizzazioni improvvise, il montaggio frenetico e la fotografia scintillante che sfrutta chiaroscuri e contrasti delle luci artificiali). Azzeccati i comprimari, non tanto Eric Tsang, che rifà senza grinta un ruolo già visto (Final Justice di Derek Chiu; Cop on a Mission di Marco Mak), quanto Chapman To, con esposizione limitata ma di grande effetto, e Anthony Wong, in netta ripresa: tutti e tre premiati con la nomination all'Hong Kong Film Award come migliori non protagonisti. Non mancano i difetti: tante raffinatezze patinate - i flashback didattici, in bianco e nero, che razionalizzano ogni colpo di scena; la colonna sonora techno-rock - stonano; le sottotrame (romantiche), giustificate dallo status delle guest star femminili (le superstar Kelly Chan e Sammi Cheng e la cantante pop Elva Hsiao, al debutto come attrice), risultano fuori contesto. Per essere un poliziesco c'è poca azione, si torna a puntare sulle psicologie credibili (e antitetiche), da noir, rinunciando a sparatorie, sangue e inseguimenti. E' una scelta intelligente, di rilievo: ne deriva la giusta tensione nervosa, che si appoggia su rivalità ben costruite (sia i due sgherri che i due boss). L'importanza dei nomi in gioco permette tante riflessioni, anche extra-cinematografiche (tira di più il narcisismo di Andy Lau o l'anima sporca di Tony Leung?), anche sulla base del possibile passaggio di consegne generazionale (Edison Chen - Andy Lau / Shawn Yu - Leung Chiu-wai) che tornerà sicuramente d'attualità con il prequel prossimo venturo. La sfida poliziotto / criminale viene diritta da Running Out of Time, ma è calata in un contesto complesso (per fortuna né farraginoso né troppo autocompiacente), con pochi studiatissimi colpi di scena e tanti sottotesti pessimisti. Tutto sommato, Infernal Affairs rappresenta un compromesso accettabile tra esigenze commerciali d'altissimo livello, coinvolgimento di superstar, registi (non autori) di talento in cerca di conferme e buona capacità di intrattenimento mainstream.

Hong Kong, 2002
Regia: Andrew Lau, Alan Mak
Soggetto / Sceneggiatura: Alan Mak, Felix Chong
Cast: Andy Lau, Tony Leung Chiu-wai, Anthony Wong, Eric Tsang, Chapman To

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