Jacob Cheung3

Può dirci qualcosa in più sulla storia della produzione del film?

In effetti, fu il direttore di un giornale che mi contattò e mi parlò delle condizioni sociali di una certa parte della popolazione di Hong Kong. Mi chiese quindi se fossi interessato a prestar voce a queste comunità svantaggiate, vittime di una forte ingiustizia sociale. Questo fu il punto di partenza di Cageman. Mi resi disponibile per dare un’occhiata e lui mi dette una tessera stampa. Andai quindi con altri giornalisti e visitammo i luoghi dove la recessione economica si era fatta sentire maggiormente, specie una comunità costretta a traslocare per via di una imminente demolizione. Dopo che visitai il luogo pensai in realtà che quelle persone stessero vivendo una discreta vita. Le persone senza troppi soldi dovrebbero vivere una vita con i piedi per terra in ogni caso. Se si vuol vivere in mezzo alla città, è normale non avere abbastanza soldi per pagare l'affitto. Ed è dunque giusto affittare una casa più piccola. Naturalmente si potrà affittare una casa migliore quando si avranno più soldi. Anche per le persone che erano costrette a lasciare le loro abitazioni perché in fase di demolizione, pensai che fosse tutto normale. Pensai che se amassero il posto così tanto avrebbero potuto solo trovare un’altra area per costruire la loro nuova casa. Non pensai a dire il vero che essi stessero soffrendo, ma che porre l’accento sulle loro condizioni fosse soltanto un’esagerazione. Cambiai comunque ben presto idea, pensando che il tema fosse interessante, e raccontai una storia composta da tre parti. In primo luogo, i problemi sociali. Feci in modo che le diverse persone rappresentassero le diverse parti di Hong Kong. Prendete alcuni esempi, c'è un uomo di nome Tong nel film, che è in realtà un piccolo commerciante. E un insegnante che rappresenta l'educazione. La demolizione incombente sull’edificio in realtà rappresenta l’hand-over, il passaggio di consegne di Hong Kong dalla Gran Bretagna alla Cina continentale.

La verità è che Hong Kong non è così bella come appare. Così tante persone affollano un posto così piccolo, proprio come i protagonisti di Cageman. Anche se sei molto ricco e vivi in un attico di lusso, stai ancora in un posto molto piccolo. Relativamente parlando, intendo, per il mondo intero, sei ancora bloccato in un piccolo posto. Così il tema portante di Cageman consistette nel ritorno di Hong Kong alla Cina continentale. Un padre riporta a casa i suoi figli dispersi, così i suoi due figli vengono inclusi nella "gabbia". Adottando il punto di vista di questo popolino di Hong Kong che vive dentro una "gabbia", mi fu possibile parlare di politica e democrazia. Nel film due consiglieri, uno cinese e uno inglese, cercano rispettivamente di conquistare la fiducia degli uomini dentro le gabbie. E questo era un ritratto della società di Hong Kong nel 1997. Dalle storie personali dei vari “cagemen”, veniamo a sapere che ognuno di loro è rimasto per motivi diversi intrappolato in una gabbia. E sono molto più difficili da rompere le gabbie del cuore che non quelle politiche. La Democrazia a Hong Kong è quindi raccontata dal punto di vista degli uomini in gabbia. Coloro che non capiscono la democrazia sono bollati come pazzi. La verità è che la maggior parte degli uomini mira al denaro. La maggioranza supera la minoranza e questo dimostra proprio la natura stessa della democrazia. Ma cosa succede se la maggioranza è malvagia? Se è così, la democrazia non ha senso. L'istruzione deve essere la forza trainante della democrazia, e le minoranze indifese devono essere garantite.

Abbiamo parlato dell'attenzione nei confronti degli umili. La stessa attenzione presente anche in A Battle Of Wits (2006). Un film di genere epico che sembra più un dramma di guerra. Invece di glorificare un eroe rivolge uno sguardo compassionevole a tutte le vittime che una guerra si lascia dietro, con un forte messaggio pacifista come quello che il protagonista del film, Ge Li, predica in giro. Cosa può dirci al riguardo?

Prima di tutto, vorrei accennare molto brevemente alla storia produttiva del film. Nel 1992, un fumettista arrangiò un romanzo giapponese di circa 300000 parole in serie a fumetti di 11 episodi (il manga Bokko, scritto da Mori Hideki, Sakemi Kenichi e Kubota Sentaro, Ndr), che ebbe molta fortuna, diventando molto popolare dopo la sua pubblicazione. Lessi il manga per la prima volta nel 1995 e me ne innamorai subito, tanto che pensai immediatamente di trarne un film. Pensai che sarebbe stata una sfida per un regista di Hong Kong fare un film del genere. Ed era poi una tematica che adoro: grande epoca storica e povera gente. Con in più un protagonista interessantissimo. Un eroe di grande talento per le strategie di guerra, ma pacifista nel suo animo. La storia di un destino degno di essere esplorato in profondità. Cercai quindi di fare il film sin dal 1995, riuscendoci finalmente dopo 10 anni, nel 2005. Per quanto riguarda la tematica, vi era un buon elemento commerciale nel film: un gruppo ristretto di persone che aiutano una massa vulnerabile a resistere a una pressione incredibilmente più forte di loro e a vincere. Un tipo di struttura tipica delle produzioni mainstream statunitensi, anche perché adattata da un fumetto con un’ottica prettamente commerciale. Ma non volevo soltanto copiare la tematica dal fumetto. Se si deve adattare un romanzo e copiare tutto da esso, allora preferisco non fare il film. Vi sono così tante ragioni nel mondo per iniziare una guerra, le stesse ragioni che vi sono nel film. Non si viene colpiti se non si dà fastidio e non si ostacolano i progetti degli altri, ma se si resiste alla volontà altrui e la si ostacola, allora, al contrario, si viene attaccati. Se, nel film, Ge Li non si fosse presentato presso la corte della città-stato di Liang non vi sarebbe stata alcuna guerra, perché l'imperatore di Liang si era già arreso. Quindi, in un certo senso, è il cosiddetto “eroe” che provoca la guerra. Infatti, i civili e i contadini non avevano alcun interesse a resistere: per loro era lo stesso continuare a pagare le tasse a un nuovo padrone, invece che all’imperatore. L’imperatore era semmai quello interessato, perché in pericolo di perdere tutto il suo potere. Pensai quindi che avrei potuto esplorare le contraddizioni della società attuale attraverso il film. L'eroe salva tutte le persone della città-stato di Liang e pensa di essere nel giusto, però non è in grado di salvare la persona che ama di più.

Qual è quindi il senso di combattere anche una guerra considerata “giusta” se si perdono le persone più care e indifese e nessuno è disposto ad aiutarti? Vale dunque la pena per un eroe combattere? Prendiamo per esempio la situazione degli Stati Uniti. L’America vuole liberare l'Iraq, e per che cosa? Attacca l'Iraq per liberare la popolazione locale dal controllo centralizzato. In teoria un motivo degno di lode, ma gli iracheni non la pensano allo stesso modo, perché a causa della liberazione, sia i soldati americani che gli iracheni perdono la vita. Infine, la guerra finisce, ma non si riesce a portare pace e sicurezza; resta soltanto il peso del conflitto che l'America ha portato in Iraq. La stessa cosa che accade con alcune dottrine religiose estremiste che incitano i credenti a sacrificarsi per la religione. Le vere vittime sono soltanto i civili. Da questo punto di vista, non esistono “eroi” nel mondo, che si vinca o perda. Imponi soltanto le tue idee agli altri e non ne viene nulla di buono per i civili. Allora perché la gente non pensa semplicemente a mettere i propri interessi da parte e vivere la loro vita in pace? Se ognuno la pensasse in questo modo, non esisterebbero guerre. Perché non si riesce semplicemente a sedersi e parlare con calma? Allo stesso modo, perché i rappresentanti dello stato militare di Zhao non si siedono e trattano con quelli di Liang? Zhao potrebbe semplicemente ignorare Liang, senza scatenare una guerra. Ma una guerra non è un gioco da tavolo e il mondo non è semplicemente un campo di battaglia dove si vince o si perde. Se si inizia una guerra, se ne devono sopportare le conseguenze. Non vi è alcun cosiddetto “eroe” nelle guerre che si combattono nel mondo. Un eroe ha sempre le sua debolezze e i suoi dolori. E questo è quello che ho tentato di esprimere attraverso A Battle Of Wits, piuttosto che mostrare l'abilità dell’eroe. Speriamo davvero che un tale eroe di guerra batta gli altri e vinca la guerra per noi. Ma che cosa ottengono i civili? Che cosa ottiene la gente in ultima analisi? Ottiene un triste destino, come la distruzione della città-stato di Liang.

Fra i film che ha girato lei vanta anche un horror, The Returning (1994). E anche un ruolo da produttore in un film cinese, Inner Senses (2002), uno dei più originali e interessanti horror asiatici dell’ultimo decennio. Considerata la sua fortunata relazione con il cinema del terrore, tornerà a dirigere un horror?

Può darsi. Il genere tuttavia non è molto importante per me. Se una storia mi interessa troverò sempre il modo di raccontarla al mio pubblico indipendentemente dal genere. Quindi potrei scegliere film horror, commedie e finanche film di guerra se essi servissero ai miei scopi. E lo scopo principale è quello di comunicare con il mio pubblico. Cosa che è per me fondamentale. Pochi vogliono sponsorizzare i miei film, anche se ho una lunga carriera alle spalle. Devo guadagnarmi da vivere, ma non voglio rinunciare alla mia carriera cinematografica. Quindi devo tenere duro e comunicare con il mio pubblico e rassicurarlo, ma oltre ai pochi film commerciali che ho fatto, voglio continuare a girare film che rispondano ai miei ideali. E continuerò a fare film a prescindere dal genere.

Anche noi speriamo che lei continui a fare film. Anche se alle volte qualcuno di essi, come Matouqin, che sembrava essere di prossima produzione, si perde per strada. Che accadde?

Dunque, nel 1989 mi imbattei in uno scritto che raccontava una storia sul delicato rapporto tra esseri umani e cavalli e sulla libertà degli animali e degli uomini. Così, dopo aver girato A Battle Of Wits, pensai di girare Matouqin, chiamato anche Morin Khuur. Apprezzavo la storia per le sue qualità e ne ammiravo l’autore. Speravo inoltre, dopo la produzione di A Battle Of Wits, di promuovere ulteriormente le idee antimilitariste mostrate in quel film per completare il discorso tematico già portato avanti con il racconto delle gesta di Ge Li. All’epoca dell’Impero Mongolico, il campo di battaglia si estende dal Sudest asiatico verso l'Europa. L’Impero ha sconfitto la Persia e attaccato la Russia, lasciando tutto il continente eurasiatico nell’instabilità. Tuttavia, l'Impero dura solo 90 anni. Il Morin Khuur (Un tipo di strumento musicale a corda mongolo, considerato il simbolo della Nazione, Ndr) rappresenta la musica tradizionale mongola. Anche se sembra delicato, è tuttavia il ritratto del pensiero e dei sentimenti del popolo mongolo. Cosa dura più a lungo? Una guerra o un’espressione di profonda cultura? La durata della vita è solo di diversi decenni, quanto hai guadagnato in vita è del tutto privo di significato. Si può sconfiggere una persona, ma non si può controllare. Proprio come un cavallo: si può sellare e mettergli le redini, ma non si può mai davvero controllare. Senza la sella e gli altri strumenti, si può essere sicuri di poter vivere a contatto con un cavallo e tenerlo sotto controllo? Non credo proprio. Il film Morin Khuur enfatizzava i pensieri contro la guerra e raccontava il dolore dei dominatori. Quel che successe con il film non ha nulla di straordinario. È quello che succede molto spesso nella vita di un regista. Alcuni problemi di produzione resero difficile la realizzazione del film. Alcuni finanziamenti che erano stati portati avanti e promessi furono all’improvviso ritirati e così il tempo passava e passava e il film non si faceva. Fu un peccato perché la pre-produzione era anche arrivata a un punto importante. Il film fu esaminato due volte e approvato dalla censura, ma non sono riuscito a fare il film. Ma cercherò di girarlo in futuro e mi impegnerò per riuscirci. A mio avviso, ogni regista dovrebbe essere ben preparato e non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà e dai periodi di crisi, siano esse finanziarie o di idee. I dubbi e le difficoltà ci sono sempre. Abbiamo bisogno di affrontare i problemi in modo corretto. Per tornare a Matouqin, nel prossimo futuro tornerò sulla sceneggiatura del film e inviterò diversi autori a scrivere diverse sceneggiature, scegliendo poi quella più matura.

Da un film non realizzato a quelli ancora da realizzare. Potrebbe dirci qualcosa dei suoi progetti futuri?

Al momento ho appena terminato le riprese del mio prossimo progetto, intitolato The White Haired Witch, che sarà un fantasy Wuxia, adattato da un romanzo di Liang Yusheng, e che sfrutta le nuove tecnologie in 3D per raccontare una storia ambientata al tempo della Dinastia Ming. Continuerò comunque a girare film come Ticket (2007) che racconta la vita ordinaria di gente comune. Sto infatti lavorando a una storia riguardante il pregiudizio. Il pregiudizio esiste ed è comune nelle relazioni umane. Durante l’infanzia è normale compiere quotidianamente delle buone azioni, ma quando si cresce e si diventa adulti, gli uomini non sono disposti a donare dieci centesimi a causa della sfiducia e dei dubbi. Tale tipo di mentalità provoca uno stato di alienazione sociale. Così, anche se il titolo è ancora incerto, ho scelto di raccontare una storia di pregiudizi e alienazione ambientata fra la gente comune di Hong Kong.

Ecco, parliamo per un attimo di Hong Kong. Soprattutto della sua industria cinematografica. Nel suo momento d’oro il cinema di Hong Kong produceva circa 200 film all’anno. Oggigiorno ne produce a malapena 50. Quale pensa sia la vera ragione di questa crisi e cosa suggerirebbe per risolvere il problema?

Se riuscissi a suggerire io misure adeguate per risolvere la crisi a quest’ora sarei ricco (ride). Credo che comunque, non sia del tutto corretto parlare di crisi: è vero, nel 1992 Hong Kong ha prodotto quasi 200 film. E sono orgoglioso di poter dire che in quell’anno ho contribuito anch’io (con Cageman e Lover’s Tear, Ndr). Dopo quell’anno, tuttavia, la produzione di Hong Kong ha cominciato a diminuire e anno dopo anno sono stati prodotti sempre meno film. Già dopo qualche anno, nel 2000, si sono registrati soltanto 70 o 90 film. Il fatto è che 200 film all’anno non era una quantità realistica per un paese come Hong Kong. Era una quantità smisurata. Per questo quando si parla di 50 film all’anno non si dovrebbe parlare di “crisi”, ma di una condizione di stabilità, di “normalità”. Realisticamente, Hong Kong non aveva la capacità di reggere un simile ritmo di produzione. La popolazione di Hong Kong è di circa 5 milioni (In realtà sono poco più di 7 milioni, Ndr), ma la “popolazione” di spettatori che vanno al cinema, è di circa 1 milione di persone. Insomma si aveva un caso limite di una quantità di produzione simile agli USA con un bacino di utenza spettatoriale cinquanta, cento volte minore. Era una situazione irreale. Destinata per forza a entrare in “crisi”.

Bene, non parliamo allora di una “crisi”, ma di una situazione di fatto. Pensa comunque che questa situazione sia stata aggravata dall’hand-over del 1997? E in particolare dalla censura del governo cinese?

No, credo che il declino della produzione non abbia niente a che fare con nessuno di questi motivi. Nonostante l’hand-over Hong Kong è ancora un luogo indipendente. Sì, è vero, la censura può in certi casi porre dei limiti alla libertà di espressione su certuni degli argomenti trattati, ma la colpa ultima non è della Cina o del governo cinese. Credo che se ci sia un colpevole per il declino del cinema di Hong Kong, esso sia proprio Hong Kong e la sua industria cinematografica.

In che senso, scusi?

Mi spiego meglio. In primo luogo dipende dall’abilità di promozione e dalle leggi del mercato. I film giapponesi erano un tempo estremamente popolari nel Sud-Est asiatico. Dopo il Giappone venivano i film del Tibet e, solo in ultimo quelli di Hong Kong. Questi ultimi non sono stati adeguatamente promossi, in termine di merchandising, sul mercato sia interno che estero. E non si è fatto mai abbastanza per attirare il pubblico nelle sale o per aiutare le case produttrici a proteggere il valore dei propri film. Si pensi agli USA: gli americani pensano ai film come a un'attività sociale o un'attività di famiglia. Gli spettatori vanno sempre al cinema con le loro famiglie. E dopo nemmeno sei mesi il film esce in DVD per il mercato home-video o sulla televisione via cavo. Ecco, questo aiuta a proteggere il valore del film. Si può investire una grande quantità di denaro solo dove vi sia la certezza di un mercato grande e organizzato. A Hong Kong non mancavano forse gli spazi, ma di sicuro l’organizzazione.

In secondo luogo, la maggior parte degli investimenti per il cinema sono stati fatti proprio nel 1991 e 1992. In conseguenza di questo però, ci sono stati molti registi immaturi e impreparati che si sono improvvisati autori, senza nemmeno avere idea di quello che andava fatto. In alcuni casi gli assistenti alla regia si sono improvvisati registi loro stessi. Nei casi peggiori abbiamo avuto “registi” che non avevano mai girato un film in vita loro. Molti hanno beneficiato del grande flusso di investimenti, ma nella maggior parte dei casi la fiducia degli investitori non è stata ben ripagata e gli investitori si sono quindi, naturalmente, tirati indietro ben presto. Terzo, a causa della pirateria dilagante a Hong Kong, è stato difficile per l’industria cinematografica mantenere il proprio valore di attrazione e spingere il pubblico ad andare al cinema. E, infine, vi sono anche motivazioni puramente pratiche, in termine di business. Non vi sono molti terreni edili disponibili a Hong Kong. Se si costruisce un cinema, costa troppo. E se si costruisce un cinema e per di più la società non ti sostiene e ti manca la necessaria esperienza e le capacità di distribuzione, propaganda e merchandising, ben presto le spese saranno infinitamente maggiori dei guadagni. La sala fallisce e chiude. E il cinema vive in primo luogo di sale cinematografiche. E, se si persiste in queste condizioni, è facile capire che qualsiasi industria cinematografica, e non solo quella di Hong Kong, è destinata al declino.

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